Sono giorni di polemiche per lo stop alla buonuscita degli statali, i quali dovranno attendere 7 anni per ottenere la liquidazione. Ma è davvero così? E soprattutto, quale sarà la decisione della Corte Costituzionale chiamata a esprimersi sulla vicenda il 9 maggio? Alcune precisazioni intanto arrivano dall’Inps, la quale ha già depositato in Consulta una memoria difensiva per motivare il ritardo.

Buonuscita statali, come stanno realmente le cose?

A sentire l’Inps in realtà non è proprio vero che gli statali dovranno attendere necessariamente fino a 7 anni per avere l’agognata liquidazione.

Innanzitutto, l’Istituto a febbraio ha attivato un prestito a tasso agevolato (l’1%) che permette di avere un anticipo su tutta la somma. Ciò significa che se non si vogliono attendere questi anni di ritardo, si può fare richiesta di finanziamento agli uffici dell’Inps stessa. Gli avvocati dell’istituto però avanzano anche un altro argomento, che potrebbe essere il vero bandolo della matassa e convincere la Corte ad accogliere il ritardo della liquidazione. Si tratta della differenza tra Tfs e Tfr.

Per trattamento di fine servizio si intende la vecchia liquidazione, ossia quella elargita agli statali assunti fino al 31 dicembre del 2000 ed è commisurata all’ultima retribuzione (circa l’80%). Per quanto riguarda i dipendenti pubblici assunti dal primo gennaio 2001, si è passati al Tfr (trattamento di fine rapporto), lo stesso percepito dai dipendenti che oprano nel privato. Tale trattamento è una “retribuzione differita” trattenuta mensilmente in percentuale dello stipendio. Secondo l’Inps e i suoi avvocati, quindi, il Tfr può essere al massimo essere pagato immediatamente, mentre il Tfs no. Se i giudici della Corte Costituzionale dovessero accogliere tale obiezione, allora lo stato riuscirebbe a risparmiare un bel po’ di miliardi di euro.

La complessa questione delle pensioni

Che le pensioni stiano diventando un problema complesso anche per il nostro paese (dopo quel che è successo in Francia) è ormai chiaro a tutti.

Già l’introduzione della Quota 103 ha fatto risparmiare, con uno stratagemma (l’aumento degli anni di contributi da 38 a 41) un bel po’ di soldini, abbassando di netto le richieste di pensionamento anticipato. La nuova questione sulla buonuscita degli statali potrebbe fruttare ulteriore risparmio allo stato. Ciò perché nessun dipendente pubblico assunto con Tfre può ancora chiedere la liquidazione, poiché serviranno 40 anni per andare in pensione, mentre il trattamento di fine rapporto anche per gli statali è stato introdotto solo da 22 anni.

Il prossimo anno andranno in pensione 150 mila statali che, per una media di 70 mila euro ciascuno di buonuscita, dovrebbero ricevere in tutto 10,5 miliardi di euro dal Tesoro. Ma siamo sicuri che lo stato riuscirà a risparmiare davvero queste cifre imponendo il ritardo sulla buonuscita degli statali? In realtà, i ricorrenti credono che alla fine la spunteranno, e citano a tal proposito proprio una precedente sentenza della Corte, nella quale si afferma che non c’è differenza tra Tfr e Tfs, poiché “entrambe si prefiggono di accompagnare il lavoratore nella delicata fase di uscita dalla vita lavorativa e sono corrisposte al momento della cessazione dal servizio allo scopo di agevolare il superamento delle difficoltà economiche che possono insorgere nel momenti in cui viene meno la retribuzione”. Dati questi presupposto contraddittori, di certo non vorremmo essere nei panni dei giudici.