Quando parliamo di mondo del lavoro, di figure lavorative del futuro e di salari minimi o da capogiro, siamo abituati a guardarci in casa e ragionare entro i confini del nostro Bel Paese. La realtà è che, in un mondo iperconnesso in cui lo sforzo è sempre quello di abbattere il più possibile le barriere culturali, dovremmo ricordarci di dare sempre un’occhiata a cosa accade a livello globale.

Per il solito principio del battito d’ali di farfalla che può provocare un uragano dall’altra parte del mondo, anche ciò che avviene altrove può influenzare la nostra vita o comunque creare una catena di eventi che, in qualche modo, ci riguarda.

Ecco perché dovremmo diventare sempre più coscienti delle condizioni di lavoro e salariali in Bangladesh e in tanti altri Paesi che consideriamo lontani, ma che producono ciò che indossiamo o usiamo. Ciò che acquistiamo qui, tra fast fashion e grandi catene a prezzo conveniente, influenza ciò che accade lì.

Come riportato dal Guardian, aziende come Lidl, Inditex (proprietaria di Zara), H&M e Next sono accusate di aver pagato i fornitori in Bangladesh, durante la pandemia, meno di quanto costasse la produzione degli articoli commissionati. Così hanno lasciato le fabbriche in enormi difficoltà nel pagare il salario minimo considerato legale del Paese. Parliamo veramente di briciole.

Stipendi minimi, anzi più bassi: lo studio condotto in Bangladesh

Se noi continuiamo ad acquistare ciecamente prodotti a prezzo molto, forse troppo conveniente, probabilmente veniamo incontro alle nostre esigenze di risparmio. Però, come ormai spiegano gli esperti sgolandosi, contribuiamo ad inquinare l’ambiente e fomentiamo la produzione in angoli di mondo in cui gli standard sono meno rispettati. Il personale ha molte meno tutele, i materiali utilizzati potrebbero non rispettare veri standard di qualità e le condizioni dei lavoratori potrebbero essere ben oltre ogni etica.

Non possiamo più fingere di non sapere: ignorando per un attimo gli articoli di giornale, anche i documentari Netflix sull’argomento abbondano. Questo modo di acquistare non sostenibile per l’ambiente e per i lavoratori si trasforma spesso in salari minimi da fame e commesse non pagate. Oppure pagate davvero pochissimo. L’Università di Aberdeen e il gruppo inglese per il commercio equo e solidale Transform Trade hanno condotto un sondaggio su 1.000 fabbriche in Bangladesh che producono articoli per i brand citati. Il risultato è presto detto. Sostengono di essere stati pagati meno dei costi di produzione:

  • il 19% dei fornitori britannici di Lidl;
  • l’11% di quelli di Inditex;
  • il 9% di quelli di H&M;
  • l’8% di quelli di Next.

Diminuzioni in fase di pandemia mai corrette

La maggioranza dei fornitori dei brand interpellati, a cui si uniscono anche quelli di Tesco e Aldi, ha dichiarato ai ricercatori che quasi 2 anni dopo il il primo picco di Covid-19 venivano ancora pagati come in piena pandemia. Ciò nonostante l’impennata dei costi delle materie prime e della produzione avvenuti nel frattempo. Durante i vari lockdown gli ordini erano sensibilmente calati e quindi la produzione, ma adesso il mercato è nuovamente molto attivo.

Eppure… Come dichiarato dalla metà dei fornitori di Primark, le cifre pagate dai committenti non sono aumentate. Un terzo di essi si è anche trovato con gli ordini cancellati. Prendendo in esame il periodo tra marzo 2020 e dicembre 2021, lo studio ha concluso che i brand più noti che acquistano da 15 o più fornitori hanno maggiori probabilità di mettere in atto pratiche non etiche. Tra queste, il ritardo dei pagamenti, gli ordini cancellati all’improvviso e pagamenti al ribasso. Un campanello d’allarme che ci ricorda come dovremmo ragionare i nostri acquisti, tornare a comprare tenendo presente l’etica di produzione.

Dovremmo ricordarci che i nostri acquisti influenzano il mondo del lavoro anche molto lontano da noi.

Infine, deve anche cambiare il metodo di lavoro dei grandi committenti. Se i fornitori sono in grado di pianificare in anticipo gli ordini, con la certezza di guadagnare come ci si aspetta e almeno coprire i costi di produzione, possono garantire buone condizioni di lavoro ai dipendenti. Quindi, almeno salari minimi legali.

Salari minimi e ordini cancellati: la risposta dei grandi brand

I brand coinvolti hanno risposto alle accuse. Lidl, ad esempio, ha dichiarato di essersi

“Impegnata a garantire i salari minimi nella sua catena di fornitura e ad assicurare una pre-pianificazione sostenibile della produzione di prodotti tessili. Lidl prende molto sul serio la propria responsabilità nei confronti dei lavoratori del Bangladesh e di altri Paesi in cui i nostri fornitori producono e si impegna a garantire il rispetto degli standard sociali fondamentali lungo tutta la catena di fornitura”.

Sulla scia si è espressa anche Next, smentendo che i suoi fornitori siano stati pagati come di prima della pandemia. L’azienda sostiene di denunciato l’aumento dei costi dei fornitori e che i suoi margini di profitto sono rimasti stabili mentre i prezzi per i clienti sono aumentati, il che indica che ha pagato di più i fornitori. Inditex, invece, dice di aver partecipato a un’azione globale a sostegno dell’industria dell’abbigliamento e dei lavoratori delle fabbriche. Ha specificato che:

“Abbiamo garantito il pagamento di tutti gli ordini già effettuati e in corso di produzione e abbiamo collaborato con le istituzioni finanziarie per facilitare la concessione di prestiti ai fornitori a condizioni favorevoli”.

Primark ha ammesso di essere stata costretta a cancellare alcuni ordini durante la pandemia, ma cerca comunque di sostenere i lavoratori:

“Nell’aprile 2020 abbiamo istituito un fondo salariale di oltre 22 milioni di sterline con l’obiettivo di sostenere la capacità dei fornitori di pagare i propri lavoratori”.

Tesco ha confermato che l’azienda è impegnata in collaborazioni eque e trasparenti lungo tutta la catena di fornitura perché ai lavoratori venga pagato uno stipendio commisurato e non solo un salario minimo, Aldi non ha fornito risposte chiare e H&M non ha rilasciato dichiarazioni.

 A prescindere dalla verità dell’uno o dell’altro, dobbiamo ricordarci un grande mantra.

Ciò che accade nel mondo del lavoro, anche se a migliaia di chilometri di distanza da noi, ci riguarda comunque.