Da un certo punto di vista, le buste paga nel 2023 saranno più onerose per i datori di lavoro, ma anche per i dipendenti. Lo aveva anticipato proprio l’Inps in un messaggio ufficiale, spiegandone la ragione: gli aumenti dei costi a carico dipende dalla riforma degli ammortizzatori sociali. Quest’ultima rivede le tutele per i lavoratori dipendenti, ma grava anche ulteriormente su alcune specifiche voci.

Tra queste troviamo la quota per la cassa integrazione guadagni straordinaria che le imprese con più di 15 dipendenti devono pagare.

Aumentano anche le aliquote contributive per i datori di lavoro che contribuiscono al Fis. Si tratta del Fondo d’Integrazione Salariale, introdotto nel 2016, di cui fanno parte tutti i datori di lavoro anche non organizzati in forma d’impresa.

Capiamo più nel dettaglio perché le buste paga 2023 diventano più care per tutti, nonostante il tanto desiderato taglio del cuneo fiscale che porta con sé aumenti sugli stipendi più bassi.

Busta paga 2023, le differenze nelle aliquote Fis per quest’anno

Partiamo dal primo punto prima accennato. Dopo una riforma del 2022, dal primo giorno del 2023 aumentano i contributi dovuti al Fondo d’integrazione salariale dell’Inps perché, a partire dall’1 gennaio 2022, la cassa integrazione è stata estesa a tutti i datori di lavoro. Sì, anche quelli con un solo dipendente. Con questa decisione viene riconosciuto ai lavoratori un assegno d’integrazione salariale (Ais) erogato dai fondi di solidarietà.

In caso manchino, allora interviene il Fis per il quale è necessario il contributo dei datori di lavoro che occupano almeno un dipendente. Questi datori di lavoro, anche non organizzati in forma di impresa, appartengano a settori per i quali non sono ancora stati attivati un Fondo di solidarietà bilaterale o di un Fondo di solidarietà bilaterale alternativo. Inoltre, non devono rientrare nell’ambito di applicazione né della cassa integrazione guadagni ordinaria né per quella straordinaria.

Ecco perché le buste paga 2023 sono più onerose: effetto dell’aumento della contribuzione a carico del datore di lavoro, ma anche del lavoratore stesso (anche se in minima parte). Per quanto riguarda l’aumento in termini numerici dell’aliquota Fis dal 2022 al 2023, per i datori di lavoro che hanno occupato in media fino a 5 dipendenti nell’ultimo semestre passa da 0,15% a 0,50%. Per quelli che, nella stessa finestra di tempo, hanno occupato dai 5 ai 15 dipendenti, passa da 0,55% a 0,80%. Quelli che hanno occupato più di 15 dipendenti, in media, vedranno un aumento da 0,69% a 0,80%. Infine, le attività commerciali che hanno impiegato in media più di 50 dipendenti nell’ultimo semestre vedranno un’impennata dell’aliquota Fis da 0,24% a 0,80%.

In caso di effettiva erogazione dell’assegno d’integrazione salariale, si aggiunge un’addizionale del 4%.

Adeguamento dei fondi solidarietà e novità sulla cassa integrazione straordinaria

È stato stabilito nel 2022 che tutti i fondi di solidarietà si adeguino alle nuove norme entro e non oltre il 30 giugno 2023. Cosa succede, quindi, ai datori di lavoro che hanno aderito a un fondo non in regola al momento? Fino all’adeguamento, si faranno carico dell’aliquota contributiva prevista per il Fis dell’Inps.

Tornando al discorso principale, tra le voci che gravano sulla busta paga nel 2023 c’è anche la cassa integrazione guadagni straordinaria (Cigs). La legge di Bilancio 2022 l’ha infatti estesa anche ai datori di lavoro con più di 15 dipendenti. Se in precedenza era stato ridotto il contributo ordinario dello 0,9% (di cui lo 0,3% a carico del lavoratore) allo 0,27%, dall’inizio del 2023 si è tornati proprio a all’aliquota iniziale. Nel caso in cui si faccia ricorso all’ammortizzatore, si aggiunge l’addizionale del 9-15% della retribuzione persa.