Il lavoro dopo la pensione è per molti una scelta obbligata. Come canta Francesco Gabbani con il brano Tra le granite e le granate: “Dietro le spalle un morso di felicità, davanti il tuo ritorno alla normalità. Lavoro e feste comandate, lasciate ogni speranza voi ch’entrate”.
Una strofa che racchiude perfettamente il sentimento di chi, dopo anni di impegno e sacrifici, sperava in un meritato riposo ma si trova costretto a rimettersi in gioco.
Che sia per motivi economici, per il timore di sentirsi inutili o semplicemente per necessità, sono sempre di più coloro che, superata l’età pensionabile, continuano a lavorare.
Una tendenza in crescita, che racconta una società in cui smettere davvero di lavorare sembra ormai un privilegio per pochi.
Lavoro dopo la pensione: per molti una scelta obbligata
In Italia e nel resto d’Europa si registra un crescente numero di persone che scelgono, o ancor peggio sono costrette, a rimanere attive professionalmente. Ciò anche dopo aver raggiunto l’età per andare in pensione. Come si evince dai dati Eurostat:
“Nel 2023, nell’UE:
- Il 64,7% delle persone ha smesso di lavorare entro 6 mesi dal ricevimento della prima rendita di vecchiaia
- Il 22,4% non aveva lavorato prima di ricevere la pensione
- Il 13,0% ha continuato a lavorare dopo 6 mesi dal ricevimento della prima pensione di vecchiaia
- Inoltre, il 4,5% dei pensionati di vecchiaia che avevano smesso di lavorare o non lavoravano sono rientrati nel mercato del lavoro.
Dei pensionati con condizione lavorativa nota che hanno esercitato un’attività lucrativa al momento o dopo aver ricevuto la prima rendita di vecchiaia, il 78,5% ha smesso di lavorare in modo permanente, mentre il 21,5% ha continuato a lavorare o ha ripreso a lavorare. La percentuale di persone che hanno continuato a lavorare dopo aver ricevuto la prima pensione di vecchiaia varia notevolmente da un paese all’altro, da meno del 2% in Romania a oltre il 50% in Estonia. Il reinserimento nel mercato del lavoro è stato più frequente in Svezia (15,6%), Estonia (12,4%) e Finlandia (12,2%), dove anche la percentuale di pensionati che hanno continuato a lavorare è stata relativamente elevata. Al contrario, meno dell’1% dei pensionati in Spagna e Cipro è rientrato nel mercato del lavoro”.
In pratica un pensionato su otto decide di non lasciare del tutto il mondo del lavoro, spinto principalmente dal desiderio di restare attivo, circa il 36,3%, o da esigenze economiche per il 28,6% dei casi.
La situazione demografica europea rende ancora più rilevante questo fenomeno. Al 1° gennaio 2024, infatti, oltre un quinto della popolazione dell’UE aveva più di 65 anni. Mentre l’età mediana ha toccato i 44,7 anni.
In particolare in Italia l’invecchiamento della popolazione è ancora più marcato. Qui le persone sopra i 60 anni rappresentano il 31,1% del totale e il rapporto di dipendenza degli anziani ha raggiunto il 37,8%. Dunque ben al di sopra della media europea del 33,4%.
Com’è la situazione in Italia
Volgendo sempre un occhio di riguardo al nostro Paese interesserà sapere che il tasso di occupazione tra i 55 e i 64 anni si attestava al 59% a fine 2024.
Ovvero in linea con la media europea ma ancora distante dai livelli dei Paesi nordici. Inoltre un’analisi più approfondita rivela che il 9,4% dei nuovi pensionati italiani continua a svolgere un’attività lavorativa. Una percentuale inferiore rispetto alla media UE, ma comunque significativa.
Questo comportamento è incentivato anche da politiche che facilitano la possibilità di cumulare pensione e reddito da lavoro. In un contesto segnato da un progressivo invecchiamento della popolazione, d’altronde, il contributo dei lavoratori senior rappresenta una risorsa preziosa. Questo non solo per alleggerire la pressione sul sistema previdenziale, ma anche per valorizzare competenze ed esperienze che rischierebbero altrimenti di andare disperse.