Nel momento esatto in cui l’economia italiana arranca tra debito pubblico e inflazione che gioca a nascondino con la crescita, la NATO, probabilmente in un momento di entusiasmo bellico, ha deciso che i suoi membri dovrebbero investire il 5% del PIL nella difesa entro il 2035. Non 2%, come finora raccomandato, ma 5%. Come dire: “Non ci bastano le pistole ad acqua, vogliamo i razzi con la musica di sottofondo”. L’Italia, che oggi raschia appena l’1,57% del PIL in spese militari, dovrebbe quindi moltiplicare l’impegno, arrivando in pratica a triplicare il budget. Per uno Stato che fatica a finanziare i condizionatori negli ospedali, sembra una scelta un po’.
ottimista. Ma d’altronde, quando si tratta di fare bella figura nei vertici internazionali, la creatività finanziaria italiana non ha rivali.
Il piano della NATO e l’interpretazione italiana
Secondo la nuova visione strategica, il 5% andrebbe così suddiviso: il 3,5% per spese militari pure (armi, eserciti, bombardieri che non decollano mai) e l’1,5% per infrastrutture civili considerate “strategiche”. E qui entra in scena l’Italia, con la sua capacità innata di allargare le definizioni: una rotonda in provincia di Viterbo? Strategica. Una mensa militare che serve anche ai vigili urbani? Strategica. Un ponte rifatto dopo 40 anni di abbandono? Assolutamente strategico.
Il governo Meloni ha già fatto sapere che considera possibile raggiungere gli obiettivi senza compromettere sanità e istruzione, il che, tradotto dal politichese, significa: “Abbiamo trovato il modo per farli sembrare tagli mentre diciamo che non lo sono”. I numeri parlano chiaro: per raggiungere quel 5%, l’Italia dovrebbe passare da circa 31 miliardi l’anno a oltre 100 miliardi.
In dieci anni, si parla di più di 400 miliardi di euro da racimolare. Come? Tagliando sprechi, certo. Magari anche vendendo il Colosseo su eBay, per stare tranquilli.
La reazione pubblica: entusiasmo misto a disperazione
Sorprendentemente, o forse no, la maggior parte degli italiani non è proprio entusiasta di spendere per carri armati quando l’autobus per andare al lavoro non arriva mai. Secondo sondaggi recenti, solo il 17% degli italiani supporta un aumento della spesa militare. Ma si sa, quando mai la politica si è lasciata condizionare dalla volontà popolare? Il dibattito è già acceso. C’è chi parla di “necessità geopolitiche”, chi di “difesa dell’Occidente” e chi, più pragmaticamente, si chiede se non sia meglio mettere quei miliardi nei trasporti pubblici, nella scuola, nella digitalizzazione.
Ma è difficile che una classe politica sempre pronta a sventolare bandiere atlantiche rinunci alla possibilità di fare la sua parte nel risiko internazionale. Intanto, in parlamento, si discute se includere nei conteggi del PIL difensivo anche i fondi già stanziati per la protezione civile o per la cybersecurity: perché accontentarsi di spese militari vere quando puoi fare finta che ogni euro speso per un firewall sia un missile?
NATO e. Italia tra retorica patriottica e realtà contabile
In teoria, aumentare la spesa militare serve a garantire un ruolo più centrale dell’Italia nel teatro internazionale, migliorare le capacità di risposta in caso di crisi e aumentare l’interoperabilità con gli alleati.
In pratica, si tratta anche di soddisfare pressioni esterne (leggasi: Washington) e non perdere peso politico in sede NATO. Ma tutto questo, in un paese che ancora deve spiegare agli studenti perché i bagni delle scuole sembrano usciti da un film neorealista, suona un po’ stonato. E allora avanti, verso il 5%.
Con l’orgoglio nel petto, il portafogli vuoto e le forbici sempre pronte a tagliare, che tanto con una buona narrazione si può far passare tutto. Magari, tra dieci anni, potremo anche vantarcene: un paese con più missili che treni in orario, ma sempre saldamente ancorato ai valori euro-atlantici. Perché in fondo, nella grande commedia della geopolitica, anche l’Italia vuole il suo applauso. Peccato che il biglietto d’ingresso costi così tanto.
In sintesi.
- La NATO chiede all’Italia di portare la spesa militare al 5% del PIL entro il 2035.
- Il governo vuole contare anche infrastrutture civili per far quadrare i conti.
- Gli italiani non ci credono e temono tagli mascherati ai servizi pubblici.