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Oggi: 05 Dic, 2025

L’inflazione nell’Eurozona non scende a luglio e il taglio dei tassi BCE si allontana

L'inflazione resta al 2% nel mese di luglio nell'Eurozona, allontanando la prospettiva di un taglio dei tassi da parte della BCE a settembre.
4 mesi fa
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Inflazione al 2% a luglio nell'Eurozona
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L’Eurostat ha rilasciato questo venerdì i dati sull’inflazione nel mese di luglio nell’Eurozona. La crescita dei prezzi al consumo armonizzati come da indice HICP è stata del 2% su base annua, così come a giugno. Le aspettative degli analisti erano per un lieve calo all’1,9%. Nel dettaglio, i prezzi dei servizi sono aumentati del 3,1%, in rallentamento dal 3,3%. Viceversa, hanno accelerato dal 3,1% al 3,3% i prezzi dei beni. E l’inflazione “core”, al netto di energia e generi alimentari freschi, è rimasta invariata al 2,3%.

Taglio dei tassi più lontano

Ricordiamo che l’inflazione armonizzata è scesa all’1,7% in Italia, all’1,8% in Germania, risalendo al 2,7% in Francia e restando stabile allo 0,9% in Francia. Questi dati confermano che la Banca Centrale Europea (BCE) stia riuscendo a centrare stabilmente il target del 2%, ma allontanano la prospettiva di un nuovo taglio dei tassi di interesse per settembre. L’istituto a luglio si è preso una pausa per la prima volta dopo un anno, tenendo i tassi sui depositi bancari al 2%.

Fino agli inizi di giugno dello scorso anno erano stati portati al 4%.

Francoforte giustificherebbe la ripresa dei tagli solo con una discesa dell’inflazione nell’Eurozona sotto i livelli di luglio. Il cambio euro-dollaro nelle ultime sedute si è indebolito a poco più di 1,14 da quasi 1,18 a cui era arrivato. Se questo trend proseguisse, l’impatto sui prezzi al consumo nell’area sarebbe rialzista. Dunque, al momento non sembrerebbero sussistere le condizioni per giungere a un nono taglio dei tassi subito dopo l’estate.

Numerosi stati sopra target BCE

Il mercato crede che ciò accadrà verosimilmente tra la fine di quest’anno e gli inizi del prossimo. E i dati di luglio sull’inflazione depongono a favore di questa lettura anche per altri motivi.

Il 2% è il tasso medio di incremento dei prezzi nell’area. La dispersione attorno ad esso risulta elevata. Sono ben 14 su 20 gli stati con tassi d’inflazione superiori, esattamente quanti a giugno: Belgio (2,6%), Estonia (5,6%), Grecia (3,7%), Spagna (2,7%), Croazia (4,5%), Lettonia (3,9%), Lituania (3,5%), Lussemburgo (2,6%), Malta (2,5%), Olanda (2,5%), Austria (3,6%), Portogallo (2,5%), Slovenia (2,9%) e Slovacchia (4,5%).

L’inflazione a luglio risultava più bassa del 2% in soli 5 stati: Germania (1,8%), Francia (0,9%), Italia (1,7%), Cipro (0,1%) e Irlanda (1,6%). Infine, era esattamente al 2% in Finlandia. Che il 70% degli stati membri abbia ancora problemi d’inflazione e, addirittura, 7 registrino tassi di crescita dei prezzi superiori al 3%, costituisce un segnale “hawkish” per il mercato. Quando i loro banchieri centrali parteciperanno alle prossime riunioni del board, quasi certamente non avalleranno alcun taglio. La stessa Bundesbank, che possiede il maggiore peso politico nell’area, si mostra titubante in tal senso.

Inflazione a luglio segnale “hawkish”

Chi conosce i meccanismi di funzionamento di una banca centrale, specie della BCE, sa che una decisione si assume con ampio consenso. Se non all’unanimità, i voti contrari devono essere minimi. Il rischio sarebbe altrimenti di inviare un segnale incerto ai mercati. Ciò vale a maggior ragione per Francoforte, dove ogni voto corrisponde a uno stato membro. Vero è che fino a giugno i tagli sono stati decisi anche con la gran parte degli stati alle prese con tassi d’inflazione sopra la media.

Tuttavia, adesso è diverso. L’inflazione a giugno e luglio è stata uguale al target e ai tassi sui depositi bancari. In gergo, la politica monetaria non sarebbe più in territorio restrittivo.

Un taglio, ove arrivasse con questi numeri, implicherebbe una discesa dei tassi reali in area negativa. La politica monetaria diverrebbe espansiva e ciò avrebbe implicazioni negative proprio per l’inflazione, che rischierebbe di rialzare la testa. Ecco perché dopo luglio serviranno dati inferiori sull’inflazione per giustificare un allentamento. A meno che le tensioni commerciali con gli Stati Uniti non spinga i governi dell’area a premere ufficiosamente sulla BCE per svalutare il cambio e disinnescare così i dazi di Trump.

giuseppe.timpone@investireoggi.it 

 

Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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