L’intelligenza artificiale non è più una promessa futura. È già parte integrante dei processi amministrativi e fiscali di molte imprese. Viene utilizzata per automatizzare la contabilizzazione delle fatture, per effettuare riconciliazioni, per intercettare anomalie nei dati, per supportare controlli interni sempre più sofisticati e, in alcuni casi, perfino per orientare scelte di pianificazione fiscale.
I benefici sono evidenti: maggiore velocità, riduzione degli errori manuali, capacità di analizzare grandi volumi di dati in tempi molto ridotti. Tuttavia, proprio questa diffusione silenziosa dell’IA solleva una questione cruciale che imprese e tutti noi professionisti non possiamo più permetterci di ignorare: se l’algoritmo sbaglia, chi ne risponde?
La risposta, per quanto scomoda, è chiara.
Non risponde la tecnologia. Rispondono le persone.
Errori e responsabilità con il fisco se l’IA sbaglia
Dal punto di vista fiscale, l’errore “algoritmico” non ha cittadinanza giuridica. Se una dichiarazione risulta errata, se una voce contabile è stata classificata in modo scorretto, se una scelta di pianificazione si rivela non conforme, l’utilizzo di un sistema di intelligenza artificiale non costituisce un’esimente. L’Amministrazione finanziaria guarda al risultato, non allo strumento che lo ha prodotto. E il risultato resta imputabile a chi ha il dovere di controllo e decisione.
È un punto fondamentale, perché l’IA sta progressivamente entrando nel cuore dei sistemi amministrativo-contabili. Non si tratta più di semplici strumenti di supporto informatico, ma di soluzioni che incidono direttamente sulla qualità dei dati, sulla costruzione delle basi informative e, di conseguenza, sulla solidità delle scelte fiscali. Quando questo accade, la tecnologia diventa parte integrante dell’organizzazione aziendale e del sistema di controllo interno.
Proprio per questo, l’adozione dell’IA non può essere affrontata come una scelta tecnica isolata. Ha riflessi diretti sugli assetti organizzativi, amministrativi e contabili dell’impresa. Un sistema che utilizza algoritmi senza regole chiare, senza supervisione umana e senza adeguati presìdi di controllo rischia di non essere più “adeguato”, con tutte le conseguenze che questo comporta anche sul piano della responsabilità degli amministratori e dei professionisti che assistono l’impresa.
Accanto al tema dell’errore, emerge poi un rischio più sottile e meno immediatamente percepibile: quello che gli esperti definiscono “decision capture”. Non si verifica quando l’IA prende formalmente una decisione al posto dell’uomo, ma quando orienta in modo decisivo la fase istruttoria. L’algoritmo seleziona i dati, filtra le informazioni, propone una soluzione ritenuta “ottimale” e riduce progressivamente lo spazio del giudizio critico umano.
Nel contesto fiscale, questo fenomeno può avere effetti rilevanti. Un sistema di IA può suggerire un regime fiscale, indirizzare una riorganizzazione societaria o costruire scenari di convenienza che finiscono per essere accettati in modo acritico. La decisione resta formalmente in capo all’amministratore o al professionista, ma il processo che l’ha generata diventa meno trasparente, meno tracciabile e più difficile da difendere in caso di contestazione.
Ed è proprio la tracciabilità del processo decisionale uno degli elementi che oggi assume un valore crescente anche in ambito fiscale.
Non basta più dimostrare di aver adottato una scelta. Diventa sempre più importante poter spiegare come quella scelta è stata costruita, quali informazioni sono state considerate, quale ruolo ha avuto il giudizio umano rispetto agli output tecnologici.
In questo scenario, la governance dell’intelligenza artificiale non è un esercizio teorico, ma uno strumento di tutela concreta. Dotarsi di policy chiare sull’uso dell’IA, definire flussi informativi strutturati, mantenere evidenza dei controlli effettuati e del ruolo umano nel processo decisionale significa ridurre il rischio fiscale e rafforzare la posizione dell’impresa in caso di verifiche.
Il messaggio di fondo è semplice, ma spesso sottovalutato. L’intelligenza artificiale può migliorare l’efficienza e la qualità dei processi fiscali, ma non attenua la responsabilità di chi decide. Al contrario, la rende più esigente. Più la tecnologia è potente, più cresce il dovere di controllo, di comprensione e di vigilanza.
Perché, alla fine, davanti al fisco non risponde l’algoritmo.
Risponde sempre l’uomo.
