Hai il diritto di sapere come usa la 104 il tuo collega? Come cantava Luigi Tenco con il brano Come mi vedono gli altri: “Vorrei provare ad essere un’altra persona per vedere me stesso come mi vedono gli altri. Vorrei sapere qual è l’impressione che prova chi non sa per nulla quello che faccio e che sono“. Nessuno di noi può davvero sapere cosa prova un altro soggetto. Possiamo soltanto immaginare, interpretare segnali e cercare di avere empatia. Ma le esperienze altrui restano sempre qualcosa di inaccessibile, di cui non possiamo avere una comprensione piena e autentica.
L’unica cosa che possiamo fare è cercare di rispettare gli altri e tendere, quando opportuno, una mano.
Un modo di fare che si rivela utile nei contesti più disparati, come ad esempio nei rapporti con amici, parenti e anche colleghi di lavoro. Il tutto fermo restando il fatto che non si debbano mai superare determinati confini, onde evitare di minare la tranquillità e il diritto di libertà altrui. Proprio partendo da questo presupposto può essere utile sapere se si abbia o meno il diritto di venire a conoscenza delle modalità di utilizzo dei permessi legge 104 da parte dei propri colleghi.
Hai il diritto di sapere come usa la 104 il tuo collega?
Grazie alla legge 104 coloro che prestano assistenza ad un familiare non autosufficiente hanno diritto a tre giorni di permesso al mese retribuiti. Un aiuto indubbiamente importante che consente di conciliare al meglio la vita privata con quella lavorativa. Il tutto, ovviamente, a patto di non abusarne. In caso contrario, infatti, si rischia il licenziamento.
Ma un lavoratore può sapere come usa la 104 il proprio collega? Ebbene, la risposta è negativa. L’utilizzo della Legge 104, infatti, riguarda dati sensibili di natura sanitaria o familiare, che sono tutelati dalla normativa sulla privacy. Proprio per questo motivo il collega non è tenuto a spiegare né quantomeno a giustificare come utilizzi le agevolazioni a cui ha diritto.
Anche se il relativo utilizzo può avere degli effetti sull’organizzazione dell’attività lavorativa, questo non giustifica in alcun modo la violazione della riservatezza. Soltanto il datore di lavoro e gli uffici preposti, come ad esempio quello delle risorse umane, possono conoscere il motivo dell’assenza, ma non possono divulgarli ad altri dipendenti. Il datore di lavoro, dal suo canto, ha il diritto di verificare la legittimità della richiesta. Può ad esempio consultare la richiesta inviata all’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale e l’autorizzazione rilasciata da quest’ultimo. In caso di dubbi il datore può anche avviare dei controlli, in modo tale da accertarsi che il lavoratore si assenti per prestare effettivamente assistenza al parente non autosufficiente.
Nel caso in cui ne usufruisca ad esempio per andare al mare, allora può scattare il licenziamento per giusta causa. Quest’ultimo, è bene sottolineare, non avviene in tronco, bensì viene prima avviato un procedimento disciplinare per permettere al lavoratore di fornire le proprie giustificazioni.
A seconda del caso e della gravità della condotta, inoltre, il lavoratore può essere accusato di truffa aggravata nei confronti dello Stato per il conseguimento illecito di erogazioni pubbliche. In tale circostanza rischia quindi di fare i conti con un procedimento penale.