Si avvicina l’ultimo appuntamento dell’anno per il board della Banca del Giappone, sempre più scissa tra il desiderio di alzare i tassi di interesse per reagire all’alta inflazione e la volontà di non destabilizzare il mercato e i conti pubblici domestici. Il governatore Kazuo Ueda ha dichiarato nei giorni scorsi di non essere neppure certo di quale sarebbe al momento il “tasso neutrale”, un’espressione che svela quanto l’istituto da lui guidato non sappia fino a quale livello eventualmente alzare il costo del denaro. L’ultimo ritocco al rialzo avvenne a giugno, quando passò dallo 0,25% allo 0,50%.
Dilemma tassi in Giappone tra inflazione e rendimenti
Ancora troppo poco per arrestare un’inflazione salita al 3% ad ottobre, ben sopra il target del 2%. La sola prospettiva che i tassi in Giappone possano salire di un altro 0,25%, ha avuto già grosse conseguenze sul mercato sovrano. I rendimenti sono lievitati lungo la curva delle scadenze. Il decennale offriva ieri l’1,94%, il livello più alto dal 2007. L’asta dei bond a 30 anni ha, invece, placato il trend rialzista. Il rendimento era salito fino al record del 3,44% e ieri si attestava appena sotto il 3,40%. Su anche il rendimento biennale all’1,02%.

La Banca del Giappone sa che il rialzo dei tassi sarebbe la risposta più appropriata per contrastare il carovita in Giappone. Ma sa anche che il governo non può permettersi di sostenere variazioni eccessive del costo del denaro con un debito pubblico al 236,7% del Pil a fine 2024.
L’esplosione della spesa per interessi manderebbe in crisi i conti dello stato e genererebbe tensioni finanziarie indesiderate.
Curva più piatta o ripida?
E se il rialzo dei tassi finisse per abbassare i rendimenti ultra-lunghi in Giappone? Questi riflettono le aspettative d’inflazione e il rischio di credito. Se Ueda annunciasse una nuova stretta monetaria, il mercato potrebbe convincersi che la crescita dei prezzi al consumo rallenterà. E così reclamerebbe rendimenti più bassi per le scadenze più longeve. A meno che non montassero i timori per la solvibilità del debito nipponico, questa reazione porterebbe a una curva dei rendimenti più piatta. Il premio preteso sui bond di durata maggiore si ridurrebbe rispetto ai rendimenti a medio-breve termine.
Viceversa, se i tassi in Giappone restassero fermi con un’inflazione così alta, il mercato penserà che la banca centrale non voglia perseguire la stabilità dei prezzi. Inizierebbe a pretendere rendimenti ancora più alti per le scadenze lunghe, finendo per aumentare la spesa per interessi sostenuta dal governo.
Investitori giapponesi comprano all’estero
Che le cose starebbero così, lo svelerebbe un dato. Nei primi dieci mesi di quest’anno, gli investitori domestici hanno acquistato bond all’estero per 11.700 miliardi di yen (quasi 65 miliardi di euro). Nell’intero 2024 erano stati acquirenti netti per soli 4.200 miliardi di yen. Perché gli investitori non stanno inserendo nei rispettivi portafogli bond domestici? Perché, evidentemente, temono che questi continueranno a deprezzarsi, in quanto i tassi di interesse in Giappone saliranno ancora. Solo quando riterrebbero che tali tassi abbiano raggiunto l’apice, tornerebbero a comprare debito del Sol Levante, specie con scadenze lunghe.
Maxi-stimoli fiscali con premier Takaichi
Ad acuire la tensione finanziaria c’è stata nelle ultime settimane la nuova premier Sanae Takaichi. Appena ottenuta la fiducia del Parlamento, ha annunciato un maxi-piano di stimoli fiscali per 21.300 miliardi di yen (circa 114 miliardi di euro). Di questi, 11.700 miliardi saranno finanziati aumentando le emissioni di bond nell’anno fiscale che si concluderà a marzo 2026.
La politica economica di Tokyo non ha una valenza solamente nazionale, date le implicazioni per il resto del mondo. Il rialzo dei tassi in Giappone può innescare una nuova ondata di vendite di bond lunghi in Occidente, oltre che di titoli azionari. Non dimentichiamo che buona parte degli investimenti a Wall Street sono alimentati dal “carry trade“, capitali affluiti dall’Estremo Oriente e presi in prestito a basso costo per essere impiegati in dollari e con rendimenti maggiori. Ma ora che la Federal Reserve taglia i tassi e la Banca del Giappone li aumenta, il dollaro inizia a perdere smalto contro lo yen. L’appeal di queste operazioni è già svanito e rischia di travolgere l’intero mercato finanziario globale.

Tassi in Giappone questione globale
Rendimenti nipponici più alti fanno lievitare anche quelli di Europa e Nord America. Il Bund a 30 anni offre oltre lo 0,25% in più rispetto a un mese e mezzo fa. E questa non è una buona notizia per le borse, in quanto gli investitori hanno modo di mettere a frutto i loro capitali comprando bond a “rischio zero”, anziché puntare su un asset rischioso e relativamente sempre meno redditizio come le azioni. I tassi non riguardano il solo Giappone. In gioco c’è il futuro prossimo della finanza internazionale.

giuseppe.timpone@investireoggi.it

