Il TFM ovvero Il Trattamento di Fine Mandato non è una indennità imposta dalla legge ma e’ un istituto che nasce da un accordo tra azienda e amministratore. Una volta definito viene, però, regolato dalle normative esistenti. Nella lettera c-bis dell’articolo 50 del TUIR sono elencate “le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione agli uffici di amministratore, sindaco o revisore di società, associazioni e altri enti con o senza personalità giuridica”, e quindi anche il TFM.

 

Compenso amministratori di società: i riferimento normativi 

Le società con o senza personalità giuridica, possono decidere di ricompensare il lavoro degli amministratori elargendo loro un compenso in qualsiasi modalità periodica. Tale compenso, per quanto previsto dalla normativa fiscale esaminata, viene ricompreso nei redditi di collaborazione coordinata e continuativa, senza necessità di uno specifico progetto, essendo tale attività, infatti, esclusa da questa tipologia progettuale dalla stessa legge Biagi.

E’ abbastanza frequente che l’amministratore o gli amministratori di società, di persone o di capitali, godano di un compenso a condizione naturalmente che non vi sia una pattuizione di gratuità atta a superare la presunzione di onerosità indicata anche dalla giurisprudenza maggioritaria. Diverso invece è il discorso relativo al quantum. L’art. 5 del D.P.R. del 26 ottobre 1972, n. 633 e s.m.i. stabilisce al comma 2° che “non si considerano effettuate nell’esercizio di arti e professioni le prestazioni di servizi inerenti ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di cui art. 49 del D.p.r. 29 settembre 1973, n. 597,……. (oggi art. 50 del DPR 917/86) rese da soggetti che non esercitano per professione abituale altre attività di lavoro autonomo”. La norma prima della riforma tributaria condizionava la non assoggettabilità all’Iva solo quelle prestazioni di servizio rese nell’esercizio di attività per le quali non fosse obbligatoria l’iscrizione in albi, ruoli o elenchi professionali.

In altri termini dunque, mentre prima l’iscrizione in albi, prescritta per l’esercizio di determinate attività di prestazioni coordinate e continuative, causava l’attrazione di quest’ultime nel campo di applicazione dell’Imposta sul valore aggiunto, ora invece tale attrazione è determinata dal solo fatto di esercitare professionalmente altre attività di lavoro autonomo. Occorre sottolineare che per effetto del “principio di attrazione” previsto dal citato articolo, rientrano nel campo di applicazione dell’Iva, i compensi percepiti in relazione agli uffici di amministratore, sindaco o revisore di società qualora tali cariche siano attribuite a professionisti.

Alla luce delle su esposte considerazioni e ai fini del corretto trattamento Iva del compenso corrisposto all’amministratore, occorre dunque identificare il soggetto che effettua la prestazione e nell’ipotesi in cui il compenso sia corrisposto ad un amministratore professionista, lo stesso deve essere assoggettato ad Iva. Per contro, la condizione di imponibilità non si realizza nel caso in cui le attività svolte all’amministratore si sostanzino esclusivamente in prestazioni di lavoro dipendente.

 

Deducibilità compensi amministratori

E’ utile ricordare che l’articolo 95, comma 5,1 DPR 917/86 prevede che i compensi spettanti agli amministratori delle società ed enti di cui all’articolo 73, comma 1, TUIR siano deducibili nell’esercizio in cui sono corrisposti e quindi con il criterio di cassa e non secondo il meccanismo della competenza; i compensi cioè, devono essere stati regolarmente deliberati dall’assemblea dei soci e imputati a conto economico, ad eccezione di quelli previsti sotto forma di partecipazione agli utili; deduzione naturalmente subordinata al fatto che il pagamento sia effettuato entro e non oltre il 12 gennaio dell’anno successivo a quello di maturazione secondo il principio della c.d. cassa allargata.

Sussiste però una diversa imputazione, a seconda del soggetto che percepisce il compenso, a seconda se trattasi di titolare di reddito assimilato a quello di lavoro dipendente, ovvero reddito di lavoro autonomo.

Questa distinzione si rende necessaria anche al fine della verifica dei termini entro cui deve avvenire il pagamento del compenso per poter procedere alla deduzione da parte dell’erogante nell’anno cui lo stesso si riferisce. Nel caso infatti in cui l’amministratore agisca in qualità di professionista non è applicabile il principio di cassa allargata bensì il principio di cassa cosiddetto “puro”.

Si ricorda inoltre che anche il Ministero delle Finanze, con circolare n. 105/E del 12 dicembre 2001 aveva chiarito che il compenso può essere attratto nella categoria del reddito di lavoro autonomo – professionale nei seguenti casi:

  • quando gli ordinamenti professionali lo ricomprendano espressamente nel novero delle mansioni tipiche esercitabili dalla categoria disciplinata;
  • quando, seppure in assenza di una previsione espressa nell’ambito delle norme di disciplina dell’ordinamento professionale, il professionista svolga l’incarico di amministratore di una società che eserciti un’attività oggettivamente connessa alle mansioni tipiche della propria professione abituale.

Per quanto concerne, in particolare, un amministratore di società, si precisa che tale attività, come già illustrato, non deve essere necessariamente attratta nell’ambito del lavoro autonomo in quanto per l’esercizio della stessa non è necessario attingere a specifiche conoscenze professionali.

A livello fiscale su questa premessa dunque, si distinguono gli amministratori, i sindaci e i revisori che sono collaboratori coordinati e continuativi, da quelli che sono professionisti. Nel solo caso delle cariche rivestite di sindaco e revisore contabile, l’Agenzia delle Entrate, con risoluzione 56/E/2002, ha precisato che i compensi derivanti da tali incarichi possono essere ricondotti nella sfera dei redditi professionali. Non rileva quindi la semplice iscrizione nel registro dei revisori, la quale dà diritto esclusivamente all’uso del titolo di “revisore contabile” ma non per questo configura un’autonoma figura professionale.

 

Possibile ulteriore compenso prestabilito: il TFM

Oltre al compenso prestabilito per ricompensare l’amministratore per la carica rivestita, le società possono riconoscere allo stesso una sorta di buona uscita.

Questa particolare forma di compenso non nasce da specifiche norme di legge o da regolamenti collettivi come accade per il TFR per i lavoratori dipendenti, ma da un semplice accordo sociale pattuito in sede di atto costitutivo o, successivamente, in sede di delibera assembleare, dove sono gli stessi soci a stabilirne l’importo; pertanto, l’indennità di cessazione del rapporto di amministrazione non ha una determinazione prestabilita e non vi sono limiti stabiliti come per i lavoratori subordinati. Il Tfm è considerato un’erogazione differita analoga al Trattamento di Fine Rapporto dovuto ai lavoratori dipendenti, ma differisce da esso per il fatto di non avere una disciplina specifica all’interno del Codice civile.

Infatti, mentre la consistenza del fondo TFR è determinata ai sensi dell’art. 2120 c.c., non vi è all’interno del Codice civile una norma a disciplina del fondo Tfm.

Le forme di retribuzione differita godono di un favorevole trattamento fiscale introdotto dal D.P.R. 917/86 -Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR) In tal senso il Tfm può rappresentare un rilevante strumento di risparmio fiscale per aziende ed amministratori.