Trasferirsi all’estero per non pagare più tasse sui capitali. E’ questo il pensiero che tormenta i capitalisti italiani, più o meno facoltosi, che da sempre sono alla ricerca di paradisi fiscali dove poter difendere i propri interessi sui propri depositi bancari.

Una volta erano la Svizzera, San Marino e Monaco l’eldorado di molti italiani che potevano sfruttare la vicinanza del Paese per spostare i propri depositi oltre confine per sottrarlo alla grinfie di un fisco divenuto sempre più vorace.

Oggi, però, questi Paesi, dopo gli accordi raggiunti con l’Italia per lo scambio automatico delle informazioni fiscali, non sono più la meta di spalloni e corrieri.

Il monitoraggio fiscale sui capitali

Anzi, a dire il vero, oggi come oggi, nessun Paese europeo è un porto sicuro per tentare di eludere il fisco a caccia di imposte sulle rendite finanziarie e capita gain. Chi esporta capitali lo deve dichiarare e se non lo fa viene subito pizzicato dalla Guardia di Finanza che, computer alla mano, riesce a seguire in breve tempo tutte le movimentazioni bancarie anomale intercettando altresì tutte le informazioni che in automatico arrivano dai Paesi stranieri nell’ambito del monitoraggio fiscale. Cosa fare allora? L’unica è abbandonare l’Italia, trasferirsi a vivere altrove cambiando residenza. Posto che ne valga la pena e che occorre trascorrere nel Paese di destinazione a fiscalità privilegiata almeno 183 giorni all’anno, quali sono le mete preferite in Europa dai capitalisti italiani?

Trasferirsi in Bulgaria conviene

Scandagliano qua e là le normative fiscali in vigore nei vari Paesi del continente, vi sono diverse destinazioni che potrebbero fare al caso specifico, come Cipro, Grecia, Malta, Lussemburgo. Ma il Paese che più di tutti tratta meglio i capitalisti stranieri è la Bulgaria. A Sofia non si paga alcun tipo di imposta sul capital gain che, viceversa in Italia ammonta al 26% (12,50% se si tratta di guadagni realizzati su titoli di stato).

In Bulgaria il capital gain per il momento non è previsto, quindi i guadagni di borsa non vengono tassati. Lo stesso dicasi per le imposte sulle rendite finanziarie che in Italia vengono calcolate nella misura del 26% (12,50% se si tratta di interessi percepiti su titoli di stato). In altre parole, dividendi e cedole non vengono tassate dallo Stato bulgaro, sia che si tratta di titoli di stato che di obbligazioni o altri strumenti finanziari che producono interessi. Unica eccezione è rappresentata dai depositi per i quali la Bulgaria chiede l’8% all’anno. Sempre meno che in Italia dove si paga il 26%.

In Bulgaria la tassazione più bassa d’Europa

La Bulgaria è quindi uno dei 28 stati membri della Comunità Europea a fiscalità privilegiata, pur non essendo un paradiso fiscale. Non avendo adottato l’euro come moneta nazionale, è riuscita finora a mantenere un basso costo della vita e a favorire la crescita economica anche grazie ai capitali stranieri. In Bulgaria, poi, la tassazione corrente per persone fisiche e imprese è al 10%, uno dei livelli più bassi d’Europa (in Italia la pressione fiscale passa il 43%). Anche i pensionati italiani che vivono in Bulgaria percepiscono la pensione al lordo dall’Inps, senza alcuna imposizione alla fonte, salvo poi dichiarare al fisco il reddito annuo, come si fa in Italia, e versare il 10% di tasse (sempre meno del 23% italiano previsto per lo scaglione più basso).

Il trasferimento di residenza

Ma come fare per trasferire la residenza all’estero senza incorrere in errori o incappare in qualche tenaglia fiscale italiana? L’Agenzia delle Entrate, come noto, conosce bene questo aspetto e non manca di effettuare controlli e verifiche sulla effettiva residenza del contribuente all’estero. Oggi, poi, con lo scambio automatico di informazioni fiscali con i Paesi stranieri è diventato più facile controllare gli effettivi spostamenti degli italiani.

In ogni caso, per essere a posto col fisco italiano, è bene sapere che non è sufficiente trasferire la residenza all’estero per non pagare più tasse in Italia. Occorre anche dimostrare di non avere più alcun interesse e legame con il Bel Paese. Così, l’iscrizione all’AIRE è solo un punto di partenza, poiché ciò non toglie che un contribuente possa essere iscritto al registro degli italiani residenti all’estero ma poi dimorare per più di 6 mesi all’anno in Italia o mantenere attività, anche sotto prestanome, nel nostro Paese.

I controlli dell’Agenzia delle Entrate

Per il 2020 l’Agenzia delle Entrate sta preparando una serie mirata di verifiche fiscali e inizierà a controllare chi ha trasferito la residenza all’estero a partire dall’anno 2010. Lo scorso mese di marzo l’Agenzia ha emanato un provvedimento per raccogliere tutti i dati di quelli che hanno chiesto l’iscrizione all’AIRE per iniziare a contestare la residenza all’estero con l’obiettivo di dare la caccia a tutte le false residenze all’estero. Per essere considerati dal fisco italiano realmente residente all’estero occorre rispettare tre requisiti:

  • iscrizione all’AIRE, controllando di essere realmente stato incluso (operazione che richiede qualche settimana, a volte mesi);
  • trascorrere più di 186 giorni all’anno fuori dall’Italia, cosa dimostrabile attraverso biglietti aerei, timbri sul passaporto, bollette elettriche, ecc.
  • dimostrare di aver trasferito all’estero il centro vitale dei propri interessi.

Mantenere legami con l’Italia, avere degli immobili, automobili, attività commerciali, conti in banca, bollette energetiche o contratti telefonici sarà sicuramente motivo di accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate. Per cui è bene tagliare ogni legame per stare tranquilli con il fisco se realmente si vuole emigrare e andare a vivere all’estero.