Il Consiglio dei ministri di lunedì sera ha deliberato a sorpresa l’imposizione di una tassa una tantum del 40% sui profitti cosiddetti “extra” realizzati dalle banche. Il vice-premier Matteo Salvini ha subito precisato che non si tratta di una misura di pochi milioni di euro, invitando a guardare le cifre sugli utili netti maturati nei primi mesi dell’anno. In effetti, nel solo primo trimestre le banche italiane hanno registrato profitti in crescita del 66% su base annua a 10,3 miliardi di euro.

Secondo le indiscrezioni, il gettito atteso dalla tassa una tantum sarebbe nell’ordine dei 2-3 miliardi. Per gli analisti di Equita Sim, tuttavia, ammonterebbe anche a 4,5 miliardi, il 3% della capitalizzazione in borsa delle banche.

Non a caso, le vendite stanno travolgendo il comparto, affossando Piazza Affari, che nella mattinata odierna è stata maglia nera in Europa. Unicredit perdeva oltre il 5% e Intesa Sanpaolo, addirittura, più del 7%. Già nei mesi scorsi, comunque, l’ipotesi di una tassa sui profitti “extra” delle banche era ventilata per ammissione dello stesso ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti.

Boom profitti con aumento tassi BCE

Da cosa scaturisce? L’anno scorso, la Banca Centrale Europea (BCE) ha iniziato ad alzare i tassi di interesse. A fine luglio, i tassi di riferimento sono stati portati al 4,25% e sui depositi bancari al 3,75%. Un anno prima, erano rispettivamente a 0 e -0,50%. E’ successo, quindi, che le banche europee hanno aumentato il costo dei prestiti e dei mutui erogati. Non sono state altrettanto celeri nell’adeguare i tassi (passivi) sui conti deposito. In Italia, lo hanno fatto meno che altrove. Solo negli ultimi mesi qualcosa inizia a cambiare in meglio per i clienti.

Che la stretta monetaria abbia fatto bene alle banche, lo dimostra proprio il boom dei profitti. Esso si è tradotto in un altrettanto boom azionario in borsa. In effetti, l’aumento dei tassi sta consentendo agli istituti di credito di staccare cedole generose agli azionisti.

Da mesi il governo li invita a remunerare meglio i risparmiatori. Una bacchettata in tal senso è arrivata niente di meno che da Christine Lagarde, governatore della BCE. Poiché la liquidità ancora abbonda per le banche italiane, queste hanno potuto permettersi di fare orecchie da mercante.

Calcolo tassa banche su profitti extra

Come si calcola la tassa sui profitti extra delle banche? L’imposta avrà come base imponibile il maggiore margine di interesse maturato, vale a dire la differenza tra tassi attivi e passivi. A tale proposito, esistono due possibilità di calcolo: raffronto tra 2023 e 2021 e raffronto tra 2022 e 2021. Sarà utilizzata la maggiore base imponibile tra le due indicate. In altre parole, le banche dovranno calcolare il margine di interesse relativo al 2022 e confrontarlo con il 2021, beneficiando di una franchigia del 3%. Oppure dovranno calcolare il margine di interesse relativo al 2023 e raffrontarlo al 2021 con una franchigia del 6%. Su tale differenza sarà prelevata una percentuale extra del 40%.

Il versamento dovrà avvenire entro giugno 2024 per la generalità dei casi. In nessun caso la tassa sui profitti extra delle banche potrà eccedere il 25% del patrimonio netto.

Possibili conseguenze per clienti

Possibili conseguenze per i clienti? Il balzello punta a fare cassa per finanziare il taglio del cuneo fiscale e dell’Irpef. Due o tre miliardi in più farebbero comodo al governo. Non è escluso, però, che la misura fiscalmente punitiva finisca per avere ricadute sul mercato del credito. Anziché pagare maggiori imposte allo stato, alle banche italiane farebbe comodo ridurre la base imponibile. Come? Limitando i tassi (attivi) su prestiti e mutui e/o alzandoli sui conti correnti e deposito. In questo modo, ridurrebbero i profitti straordinari e guadagnerebbero possibilmente quote di mercato. In altre parole, per sfuggire alla stangata ne approfitterebbero per aumentare la clientela e migliorare il rapporto con essa.

Se la tassa sulle banche avesse successo in tal senso, evidentemente il governo incasserebbe meno. Ad ogni modo, riuscirebbe nell’intento di contenere i costi a carico delle famiglie indebitate e/o di accrescere la remunerazione dei risparmi depositati in banca. Attenzione, però, alle conseguenze potenzialmente negative per lo stesso stato. Se le banche alzassero in misura percettibile i tassi sui conti deposito, aumenterebbe la concorrenza ai danni dei BTp. Il Tesoro si troverebbe costretto ad alzare anch’esso i rendimenti per attirare nuovi risparmi dal canale retail. Il successo del BTp Valore a giugno non sarebbe replicabile con certezza.

Tassa banche, rischi da una tantum

Infine, interventi come quella di queste ore rischiano di provocare un danno reputazionale al sistema Italia. Stiamo parlando di un’imposta addizionale che spariglia le carte a gioco in corso. A dirla tutta, ha natura parzialmente retroattiva, un fatto che contrasterebbe con la Costituzione. E, soprattutto, siamo sicuri che solamente le banche approfittino di un evento eccezionale? Il concetto dei profitti “extra” è difficile da configurare. Se un bar aumenta i prezzi del menù, grazie al boom di turisti in arrivo in città, dovremmo aumentare l’imposta sui suoi maggiori profitti?

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