Le pensioni sono sempre più basse, si sa. Ma non è solo per colpa dell’inflazione. La lenta entrata a regime del sistema di calcolo e liquidazione delle rendite sta facendo scivolare gli importi medi verso la soglia piscologica dei 1.000 euro al mese. Una cifra inimmaginabile agli inizi del secolo. Sono gli effetti della riforma Dini del 1995 che aveva messo fine al sistema di calcolo retributivo delle pensioni.

Oltre a questo, però, vi sono anche altri tagli più o meno evidenti che determinano il ribasso delle rendite.

Si tratta, in particolare, del ridimensionamento della perequazione automatica per il biennio 2023-2024 introdotto con la legge di bilancio dello scorso anno. Cosa significa esattamente questa cosa per i pensionati non addetti ai lavori e come influisce sugli importi?

I tagli nascosti alle pensioni

In buona sostanza il Parlamento, su indicazione del governo preoccupato per l’esplosione dell’inflazione, ha dato una sforbiciata alla rivalutazione delle pensioni dai 2.000 euro in su. Come noto, ogni anno, per legge, le pensioni sono adeguate al costo della vita. L’impennata dei prezzi nel 2022 avrebbe portato a rivalutare pienamente oltre 16 milioni di trattamenti con costi elevatissimi per lo Stato. Così, il legislatore ha pensato bene, di limare la rivalutazione delle pensioni medio alte per contenere la spesa pubblica.

Una palese violazione di sacrosanti diritti che – come spiega Alberto Brambilla, presidente di Itinerari Previdenziali, rappresenta una vera e propria “punizione”, uno schiaffo al merito e una perdita netta di soldi per i pensionati che hanno lavorato e versato contributi per tutta la vita. Perché si tratta di un taglio che causerà danni nel tempo con effetti negativi amplificati sull’importo della pensione in relazione alla crescita dell’inflazione in futuro.

Al punto che molti pensionati hanno già iniziato a diffidare l’Inps dall’applicare tagli alle proprie pensioni minacciando ricorso alla Corte Costituzionale.

Mentre i sindacati protestano perché i tagli saranno ripetuti anche nel 2024, secondo uno schema di tagli progressivi in base agli importi percepiti.

A quanto ammontano i tagli sugli assegni

Ma a quanto ammontano esattamente i tagli agli assegni? La legge di bilancio 2023 ha introdotto sei fasce di rivalutazione delle pensioni a determinazione degli interventi da applicare sugli importi delle rendite. Le nuove fasce di rivalutazione sono quindi le seguenti:

  • 100% fino a 4 volte il trattamento minimo
  • 85% da 4 a 5 volte il trattamento minimo
  • 53% da 5 a 6 volte il trattamento minimo
  • 47% da 6 a 8 volte il trattamento minimo
  • 37% da 8 a 10 volte il trattamento minimo
  • 32% oltre le 10 volte il trattamento minimo

Da inizio anno, quindi, solo chi percepisce fini a 4 volte una pensione pari a 4 volte l’importo del trattamento minimo 2022 (525,38 euro), circa 2.100 euro al mese, gode di una rivalutazione piena dell’assegno. Chi sta sopra subisce delle perdite progressive in base all’importo fino ad arrivare a un taglio di circa due terzi per le pensioni dai 5.000 euro in su.

Volendo fare un esempio pratico, un pensionato che percepisce una pensione di 4.000 euro al mese, dal 1 gennaio, in base alle rilevazioni Istat sull’inflazione 2022 (+8,1%), anziché beneficiare di un aumento di circa 292 euro al mese, ne prende solo la metà. Un danno che si cumula col tempo determinando altresì una base minore di calcolo su cui rivalutare la pensione negli anni a venire.

Riassumendo…

  • I tagli nascosti alle pensioni colpiscono le fasce medio alte dei beneficiari.
  • Da quest’anno la rivalutazione è piena solo per chi prende 2.000 euro al mese.
  • Chi percepisce pensioni superiori subisce tagli importanti che si accumulano nel tempo.
  • Sopra i 5.000 euro al mese di pensione la rivalutazione è ridotta di circa due terzi.