Il taglio alle pensioni conseguente al ridimensionamento della perequazione automatica per molti beneficiari si sta facendo sentire sul bilancio delle famiglie. Come noto, la Legge di bilancio prevede che per il biennio 2023-2024 la rivalutazione sia ridimensionata per chi percepisce assegni dai 2.000 euro in su.

Soglia che appare alta rispetto alla media delle pensioni pagate in Italia, ma che di fatto non lo è per via del maggior carico fiscale che incombe su tali importi. Al netto delle ritenute Irpef e delle addizionali, si parla di 1.500 euro al mese.

Soldi che una famiglia monoreddito non sono sufficienti a soddisfare i bisogni quotidiani.

I tagli applicati sulle pensioni dalla Legge di bilancio

Così sta succedendo che molti pensionati, con l’ausilio dei sindacati, stanno inviando all’Inps lettere di diffida contro il ridimensionamento della rivalutazione applicata da quest’anno. Per chi percepisce una rendita superiore a quattro volte il trattamento minimo 2022 (525,38 euro al mese), gli aumenti programmati annualmente dal Ministero dell’Economia non sono pieni.

Scopo delle doglianze è quello di sollevare l’attenzione dell’opinione pubblica verso un diritto negato dalla Costituzione. E, allo stesso tempo, quello di imbastire un ricorso alla Corte Costituzionale affinché intervenga. Non nell’immediato, s’intende, ci vorrà molto tempo e servirà un legge del Parlamento per ripristinare le cose, ma tant’è, qualcosa si sta muovendo per il ripristino di diritti negati.

In pratica, il governo, vista l’impennata dell’inflazione, ha pensato bene di limitare gli aumenti ai soli trattamenti più bassi. Facendo così un distinguo e discriminando i pensionati secondo lo schema approvato con la legge di bilancio. Chi prende più di 5.000 euro al mese si è addirittura visto dimezzare la percentuale di rivalutazione (dal 7,3% al 2,33%).

Quanto c’è da recuperare sulla pensione

Secondo gli esperti, fare un calcolo di quanto inciderà egli anni la mancata rivalutazione delle pensioni è difficile, ma non impossibile.

Per saperlo bisogna innanzitutto partire dagli importi stabiliti in base alle sei nuove fasce di rivalutazione che sono:

  • 100% fino a 4 volte il trattamento minimo
  • 85% da 4 a 5 volte il trattamento minimo
  • 53% da 5 a 6 volte il trattamento minimo
  • 47% da 6 a 8 volte il trattamento minimo
  • 37% da 8 a 10 volte il trattamento minimo
  • 32% oltre le 10 volte il trattamento minimo

Dalla tabella si evince chiaramente che più si sale, maggiore è il taglio applicato. Anche se il numero dei beneficiari diminuisce salendo, è ragionevole pensare che il danno è tanto maggiore quanto più ampio è il taglio della rivalutazione 2023-2024.

Un esempio pratico

Come spiega Alberto Brambilla, presidente di Itinerari Previdenziali, questo taglio è una vera e propria “punizione”, uno schiaffo al merito e una perdita netta di soldi per i pensionati che hanno lavorato e versato contributi.

Volendo fare un esempio, un pensionato che percepisce una rendita di 4.000 euro al mese avrebbe dovuto apprezzare dal 1 gennaio un aumento del 7,3%, cioè 292 euro al mese in più per effetto dell’inflazione. Invece prende poco più della metà. Questa differenza, moltiplicati per gli anni a venire dà origine a un ammontare importante di pensione non pagata.

Chi manda la diffida all’Inps, anche solo per interruzione dei termini di prescrizione, potrà fare ricorso, se e quando giustizia sarà fatta, potrebbe ottenere lauti risarcimenti dallo Stato. Il presidente dell’Inps Pasquale Tridico ha già messo in conto un esborso miliardario a doppia cifra.

Riassumendo…

  • I tagli alle pensioni pesano sugli assegni superiori a 2.000 euro al mese.
  • Lettera di diffida stanno arrivando all’Inps da parte dei pensionati.
  • Presto sarà chiamata in causa anche la Corte Costituzionale, ma passeranno anni prima di una decisione.
  • L’Inps ha messo in conto esborsi miliardari in caso di perdita della causa.