Le pensioni anticipate saranno sempre di meno e più difficili da ottenere. Lo si può intuire dal Def, il documento di economia e finanza, che il governo Meloni ha recentemente presentato. Costituisce, in sintesi, l’architrave della manovra di bilancio 2025 dalla quale si desume lo stato di criticità al sostegno del nostro sistema pensionistico.

In breve, in Italia, la spesa per la previdenza, di cui le pensioni costituiscono la maggiore voce di spesa, rasentano quota 400 miliardi di euro con un incremento del 3% sul Pil rispetto al 2007.

Colpa dei vari bonus, del reddito di cittadinanza e di scelta politiche azzardate promosse dal governo Conte e approvate dal Parlamento targato PD-5Stelle della passata legislatura. Ma il conto pesa soprattutto a causa di Quota 100.

Senza soldi, niente riforme alle pensioni

La misura sperimentale di pensionamento anticipato a 62 anni di età con 38 di contributi è durata tre anni, poi è stata bloccata per lasciar spazio a Quota 102 e Quota 103 per evitare lo scalone con le regole Fornero. Ma tanto è bastato per mandare all’aria i conti dell’Inps, costretto a pagare prestazioni per un periodo di tempo più lungo del previsto, considerando l’allungamento della vita media degli italiani e il ritorno dell’inflazione.

Tagli graduali sono stati fatti dall’attuale governo, ma come conseguenza di una disastrata politica economica e sociale che ha portato all’esplosione del debito pubblico che bucherà la soglia dei 3.000 miliardi di euro nel 2025. Le pensioni anticipate sono state ridimensionate e la riforma del sistema pensionistico è rinviata sine die a causa dei disastri politici combinati dalla precedente legislatura e dal ritorno violento dell’inflazione.

In buona sostanza, non ci sono soldi per fare le riforme delle pensioni. Si andrà quindi verso ulteriori aggiustamenti, in senso restrittivo, della attuali vie d’uscita previste dall’ordinamento. A partire dalle pensioni di vecchiaia che dal 2027, quasi sicuramente, non saranno più a 67 anni ma a 67 anni e 2 mesi.

Così come per quelle anticipate per le quali serviranno 43 anni di contributi (42 per le donne) rispetto 42 anni e 10 mesi di adesso.

Pensioni anticipate nel 2025 solo per pochi

La tagliola, come abbiamo già visto nel 2024 e 2023 ricadrà facilmente sulle pensioni anticipate. Già oggi riservate a poche categorie di lavoratori (fragili, donne, usuranti, gravosi) saranno sempre più difficili da ottenere. A meno che si opti per un ricalcolo contributivo della pensione, più penalizzante rispetto a quello misto.

Cosa attendersi per il prossimo futuro quindi? Opzione Donna potrebbe sparire già dal 2025 per confluire direttamente in Ape Sociale. Già oggi le due prestazioni si somigliano molto per quanto riguarda i requisiti specifici da possedere. Caregiver, invalidi, disoccupati o licenziati in futuro potranno accedere alla sola prestazione prevista da Ape Sociale. Resta solo da far convergere i requisiti anagrafici e contributivi.

Per questo è ragionevole pensare che dal 2025 Opzione Donna potrà essere ottenuta solo a partire da 62 anni di età (con 35 di contributi), mentre Ape Sociale da 63 anni e 5 mesi ma innalzando il requisito contributivo, oggi fissato a 30 anni (36 anni per i lavoratori gravosi). Insomma, tutto depone per una convergenza delle due misure in una sola prestazione.

C’è poi la questione di Quota 103 (pensione anticipata a 62 anni con 41 di contributi), da quest’anno riservata solo a chi accetta il sistema di calcolo contributivo. L’opzione scadrà il 31 dicembre 2024 e non è detto che sarà rinnovata. Anche perché avrebbe poco senso farlo visto che sono sempre meno i lavoratori che ne fanno richiesta. Potrebbe diventare Quota 104, come sparire definitivamente.

Riassumendo…

  • Spesa previdenziale fuori controllo, il governo corre a puntellare il bilancio Inps.
  • Pensioni anticipate sempre più nel mirino di tagli e riforme.
  • Opzione Donna e Ape Sociale verso la convergenza in una sola prestazione e Quota 103 a fine corsa.