Gli statali in Italia sono circa 3,2 milioni. Una percentuale molto bassa rispetto alla popolazione e sotto la media Ue. C’è però da dire che molti dipendenti appartengono al così ad amministrazioni a partecipazione statali o a enti e consorzi pubblici. Così il numero sale.

Ma il punto – secondo le anticipazioni che saranno presentate al Forum sulla P.A. non è tanto il numero degli statali, sempre oggetto di critiche e discussioni, ma la loro età. L’Italia detiene il primato europeo per anzianità del personale.

Statali, età media 53 anni

In Italia l’età media dei dipendenti della pubblica amministrazione, i cosi detti statali, è di 53 anni (secondo l’Aran). Con punte che superano i 62 anni. Un’età questa che rende il nostro apparato pubblico vecchio e poco efficiente.

Il calo del numero degli statali ci allontana così dagli standard europei. Oggi in Italia opera nel settore pubblico il 13,4% dei lavoratori, meno che in Francia (che ha 5,6 milioni di dipendenti pubblici, il 19,6% del totale dei lavoratori), in Regno Unito (5,2 milioni, il 16%,) o in Spagna (3,2 milioni, il 15,9%), ma più della Germania (4,8 milioni, il 10,8% del totale).

Nel nostro Paese, alla fine del 2020, erano 3.212.450 i dipendenti statali. Non solo, più del 16 per cento dei lavoratori ha più di 60 anni ed è ancora in servizio. Parliamo per lo più di insegnati, impiegati, operatori sanitari, ecc. Ad esclusione delle forze di polizia il cui pensionamento è legato all’età ordina mentale di 60 anni.

Altro dato curioso, l’età media di chi è andato in pensione nella pubblica amministrazione ha 62 anni e 3 mesi. Ma solo grazie alle forme di pensionamento anticipato, fra cui spicca quota 100 che terminerà a fine anno. L’indagine, che sarà oggetto di discussione al Forum della P.A. a Roma il prossimo 25 giugno, mette in evidenza tutti i difetti di un apparato pubblico vecchio e spesso poco efficace.

Qualità dei servizi in calo

Inevitabilmente l’età anagrafica avanzata degli statali si riflette sulla qualità dei servizi. Una tendenza che rivela la debolezza strutturale della pubblica amministrazione, e che andrebbe invertita completamente.

I dati sulle pensioni media a oltre 62 anni confermano questo andamento, in particolare per quanto riguarda la scuola. Infatti,  il nostro è l’unico Paese europeo dove in tutti i cicli scolastici l’età media degli insegnanti supera il mezzo secolo. Ma non solo nella scuola.

Durante il lockdown per emergenza sanitaria, l’Inps ha dato purtroppo prova di inefficienza a livello di gestione per le richieste di ammortizzatori sociali al punto che il presidente Pasquale Tridico è stato chiamato a rendere conto al governo.

Lo stop dei concorsi statali

Come se non bastasse, la crisi dovuta alla pandemia ha ritardato ulteriormente lo svecchiamento e il rinnovo della pubblica amministrazione. Nel 2020, i pensionamenti degli statali sono stati 31 mila, mentre le assunzioni sono rimaste al palo, bloccate dallo stop dei concorsi pubblici, già fermi da un decennio. Ecco perché gli statali sono diminuiti e invecchiati.

Più nel dettaglio, prefetture, ministeri, agenzie fiscali, enti pubblici non economici e città metropolitane hanno perso tra il 5% e il 7% del personale, i Comuni più del 2%. Unico comparto con una crescita significativa dell’occupazione a tempo indeterminato è la sanità.

I concorsi nel frattempo sono ripartiti, con procedure snelle. Secondo le previsioni del Dipartimento Funzione Pubblica, nel 2021 sono previsti 119 mila nuovi ingressi a tempo indeterminato. Ma tante altre assunzioni arriveranno nel 2022 e 2023 con lo scopo di rafforzare il comparto e svecchiare l’organico, soprattutto nella scuola.

Verso una P.A. più moderna

Dal piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) dovrebbero arrivare le risorse necessarie a rinnovare la P.A. e anche ad assumere nuovi statali. Previsti 1,3 miliardi di euro, più 400 milioni di fondi strutturali Ue e cofinanziamento nazionale, per un totale di 1,7 miliardi di euro.

Soldi che saranno impiegati per accelerare la trasformazione digitale della Pa e per reperire figure professionali adeguate da qui al 2026.

“Il Pnrr può davvero essere l’opportunità per ripensare e rinnovare il settore pubblico, ma allo stesso tempo serve una nuova Pa per realizzare le missioni previste, connettendo i soggetti dell’innovazione, instaurando un dialogo continuo tra centro e periferia, mettendo a sistema le migliori esperienze già realizzate. – afferma Gianni Dominici, direttore generale di Fpa –.