Le vendite dei negozi fisici, nonostante il cashback, non reggono il confronto con lo shopping online. A pochi mesi dall’avvio degli “sconti” di Stato sugli acquisti nei negozi con pagamento elettronico, il confronto con l’e-commerce resta impareggiabile.

Le grandi catene presenti su internet, a partire da Amazon, sono in grado di proporre prezzi più bassi anche considerando il cashback della concorrenza fisica. I consumatori se ne sono accorti e, dopo un iniziale periodo di euforia, sono tornati a preferire lo shopping online.

Acquisti cashback la convenienza non c’è

Le ragioni per cui gli acquisti nei negozi fisici non decollano sono sostanzialmente tre:

  • la minor convenienza in termini di prezzo della merce rispetto allo shopping online;
  • la più ampia scelta di prodotti acquistabili rispetto ai negozi fisici;
  • la comodità di poter ricevere la merce direttamente acquistata direttamente a casa.

Non solo. E’ stato riscontrato che molti esercenti, con la scusa del cashback e per recuperare i mancati introiti durante il primo periodo di lockdown, hanno alzato i prezzi. Una pratica scorretta che ha fatto subito irritare i consumatori che subito hanno denunciato il fatto alle associazioni di categoria. Col risultato che molti negozi non hanno registrato incrementi nelle vendite dopo l’introduzione del cashback.

Desertificazione commerciale

E’ così non c’è da meravigliarsi se i commercianti continuano a lamentarsi. Nel 2020 è proseguito il processo di desertificazione commerciale e, infatti, sono sparite, complessivamente, dalle città italiane oltre 77.000 attività di commercio al dettaglio (-14%) e quasi 14.000 imprese di commercio ambulante (-14,8%).

E’ quanto emerge dall’analisi dell’Ufficio Studi di ConfcommercioDemografia d’impresa nelle città italiane“. Il Covid acuisce certe tendenze e ne modifica drammaticamente altre. Nel 2021, solo nei centri storici dei 110 capoluoghi di provincia e altre 10 città di media ampiezza, si registrerà un ulteriore calo del commercio al dettaglio (-17,1%).

Quindi, città con meno negozi, meno attività ricettive e di ristorazione e solo farmacie.

Informatica e comunicazioni in controtendenza col segno più. Il rischio di non “riavere” i nostri centri storici come li abbiamo visti e vissuti prima della pandemia è, dunque, molto concreto. E questo significa minore qualità della vita dei residenti e minore appeal turistico.

Shopping online e negozi fisici

Tra il 2012 e il 2020 – secondo l’analisi – si è verificato un cambiamento del tessuto commerciale all’interno dei centri storici che la pandemia tenderà a enfatizzare. Per il commercio in sede fissa, tiene in una qualche misura la numerosità dei negozi di base come gli alimentari (-2,6%) e quelli che, oltre a soddisfare bisogni primari, svolgono nuove funzioni, come le tabaccherie (-2,3%). Significativi sono invece i cambiamenti legati alle modificazioni dei consumi, come tecnologia, comunicazioni (+18,9%) e farmacie (+19,7%). Queste ultime diventate ormai luoghi per sviluppare la cura del sé e non solo quindi tradizionali punti di approvvigionamento dei medicinali.

Il resto dei settori merceologici è, invece, in rapida discesa. Si tratta dei negozi dei beni tradizionali che si spostano nei centri commerciali o, comunque, fuori dai centri storici. Registrano riduzioni che vanno dal 17% per l’abbigliamento al 25,3% per libri e giocattoli, dal 27,1% per mobili e ferramenta fino al 33% per le pompe di benzina.

La pandemia acuisce questi trend e lo fa con una precisione chirurgica. I settori che hanno tenuto o che stavano crescendo cresceranno ancora, quelli in declino rischiano di scomparire dai centri storici.

Quanto alle dinamiche riguardanti ambulanti, alberghi, bar e ristoranti, a fronte di un processo di razionalizzazione dei primi (-19,5%), per alberghi e pubblici esercizi, che nel periodo registrano rispettivamente +46,9% e +10%, il futuro è molto incerto.