Del doman non v’è certezza” scriveva Lorenzo de’ Medici. Ma del presente la certezza c’è e non è incoraggiante per chi spera in una riforma pensioni che dovrebbe vedere la luce il prossimo anno, come promesso dal governo Meloni.

Ma di quali certezze parliamo? Una su tutte: l’Italia non fa più figli. O meglio, ne fa pochi per consentire un ricambio generazionale dell’occupazione e quindi sostenere le pensioni. Non solo quelle future, ma anche quelle attuali. Poi ci sono le previsioni di spesa e i conti (che non tornano mai).

Senza soldi e senza figli, nessuna riforma pensioni

E qui montano le preoccupazioni legate ai numeri drammatici sulla spesa previdenziale italiana evidenziati più volte dall’Inps. Si va verso un buco da 10 miliardi nel 2023 e una perdita patrimoniale consistente entro il 2029. Per dirla, in sintesi, con le parole del presidente Inps Pasquale Tridico:

“Il sistema pensionistico in un Paese con 60 milioni di abitanti non si può reggere, nel lungo periodo, con sole 23 milioni di persone che lavorano”.

Viene quindi spontaneo domandarsi chi potrà sostenere la spesa futura per le pensioni se i contributori che sorreggono il sistema sono sempre di meno. Come possiamo pretendere di pagare ancora rendite elevate se calano le entrate? poi c’è la getsione dei dipendenti pubblici, anch’essa deficitaria già ai tempi dell’Inpdap.

In altre parole, se l’indice di natalità non torna a crescere il welfare italiano è destinato a indebolirsi ulteriormente. Con conseguenze non più rimandabili sulle pensioni. Arriveranno altri tagli e altre riforme, ma non certo a favore dei lavoratori. E nemmeno dei pensionati che già da quest’anno pagano la mancata rivalutazione piena degli assegni sopra 4 volte il trattamento minimo.

Il conto salato sulla testa dei giovani

Il problema delle culle vuote andrà inesorabilmente a impattare sui conti pubblici. E questo è un dato di fatto.

E chi deve fare le riforme lo sa bene. Il rapporto fra lavoratori e pensionati è in calo a 1,3 e arriverà a 1 entro il 2050. Numeri che già oggi evidenziano la precarietà del sistema pensionistico italiano e la tenuta dei conti dell’Inps.

A ricordare al governo – che ha recentemente dato il via al tavolo negoziale coi sindacati per riformare le pensioni dal 2024 – la precarietà dei conti pubblici è il presidente dell’Inps Pasquale Tridico. In una breve nota avverte che “il quadro da qui al 2029 non è positivo”. Col rischio che a quella data il patrimonio dell’Istituto sarà negativo per 92 miliardi di euro.

Nel complesso il costo per prestazioni previdenziali nel 2021 ha raggiunto i 312 miliardi di euro (il 16,2% del Pil). La voce che incide maggiormente sulle uscite è quella delle pensioni anticipate (il 56% del totale), seguita dalle pensioni di vecchiaia (il 18%) e dalle pensioni ai superstiti (14%). Le prestazioni agli invalidi civili rappresentano il 7% del totale e le altre due voci (pensioni di invalidità e pensioni e assegni sociali), rispettivamente, il 4% e il 2%.