Alla pensione si arriva a fine carriera. E, fin qui, non abbiamo detto nulla di nuovo. Ecco perché molti si sforzano di arrivarci con lo stipendio più alto possibile e un montante contributivo adeguato. Il compromesso è sempre tra tempi e importo della pensione: smettere di lavorare prima possibile senza subire tagli esagerati sull’assegno.

Quello di cui troppo spesso non ci rendiamo conto è che la pensione è come la casa della nostra vecchiaia che costruiamo mattone dopo mattone ogni giorno della nostra carriera lavorativa.

Arrivare al perfezionamento dei requisiti e vedere la pensione spostarsi per via di una riforma mancata, può dare frustrazione. Però prendersela con il governo di turno non basta. A volte la colpa della mancata pensione è nelle scelte sbagliate che si sono fatte da lavoratore. Magari anche da giovani, ad inizio carriera.

Quali sono queste scelte che incidono sui tempi della pensione e sull’importo dell’assegno spettante? Diverse. Alcuni quesiti di seguito elencati ci aiuteranno a vederne più nel dettaglio alcune.

Lavorare anche dopo i requisiti pensione è una scelta che premia?

“Alla soglia dei 64 anni sono in dubbio sul fare domanda di pensione oppure no. Da un lato non voglio lasciare un lavoro che mi piace e che mi tiene attivo. Dall’altro ho timore di perdere il treno e vedere sfumare la pensione a tempo indeterminato. Cosa potete consigliare a chi si trova nella mia situazione?”

Purtroppo abbiamo pochi elementi per rispondere in modo preciso.

Prima di tutto sarebbe da capire quanti contributi ha versato chi ci scrive per valutare a quale pensione ha diritto tra le diverse misure che permettono di smettere di lavorare a 64 anni. Alcune forme di pensione anticipata godono della cristallizzazione del diritto una volta perfezionati i requisiti. Se il tipo di uscita lo permette c’è anche la possibilità di continuare a lavorare a partita iva dopo la pensione.

Part time: quanto incide la riduzione di orario sulla pensione

“Sto seguendo un percorso terapeutico che mi sta portando ad amare maggiormente me stessa. In quest’ottica stavo anche valutando di chiedere il part time a lavoro, per dedicare più tempo alle cose che mi piacciono. Negli anni ho accumulato qualche risparmio che mi permetterebbe di vivere per qualche anno compensando lo stipendio ridotto. Però la mia preoccupazione riguarda la pensione: con il part time quanti anni in più dovrei lavorare? Premetto che ho solo 20 anni di contributi ad oggi alle spalle”.

Sfatiamo un primo luogo comune: chi lavora part time non va in pensione più tardi. L’orario ridotto non incide sulle tempistiche di uscita quanto, piuttosto, sull’importo dell’assegno. E questo vale per tutte le forme di part time: verticale, orizzontale o ciclico che sia. Ciò però a condizione che sia rispettato il minimale Inps aggiornato di anno in anno.

Ora, nel caso proposto, non abbiamo dati sufficienti per dire quando chi ci scrive potrà andare in pensione. In ogni modo l’età del pensionamento non si sposterà con un eventuale passaggio al part time. Ovviamente però la rendita cambierà: nel sistema contributivo meno ore di lavoro corrispondono a pensione più bassa.

Lavoro a partita IVA e contributi

“Dopo due anni di contratto in un ambiente di lavoro stressante e poco stimolante, ho trovato un’opportunità che potrebbe corrispondere al lavoro dei miei sogni. Il problema è che non si parla di assunzione ma di lavoro a partita IVA. Un passaggio che non mi spaventa tanto in termini di stipendio (perché facendo due conti forse guadagnerei anche di più o comunque sarei più stimolata a farlo. Però chi mi sta intorno mi ha fatto notare che non sono più una giovane alle prime armi. Ho superato i 35 anni e la mia preoccupazione riguarda la pensione futura. Da autonoma la prenderò?”

L’idea che chi lavora a partita IVA non vedrà mai una pensione è un po’ un luogo comune da sfatare. Certo è, e questo è innegabile, che le regole sono molto più svantaggiose rispetto ai dipendenti e gli importi tendono ad essere più bassi. La pensione per gli autonomi dipende dall’anzianità contributiva, dai contributi versati e dalla Cassa di appartenenza.

I sistemi di calcolo della pensione per le partite iva varia in base all’età contributiva al 31 dicembre 1995:

  • chi ha almeno 18 anni di contributi, rientra criterio misto, retributivo per l’anzianità maturata fino al 31 dicembre 2011 e contributivo per l’attività post 1° gennaio 2012;
  • chi ha meno di 18 anni di contributi, fa parte di un criterio misto, retributivo per l’anzianità maturata fino al 31 dicembre 1995 e contributivo per i periodi di attività dopo il 1° gennaio 1996;
  • gli iscritti dall’1 gennaio 1996 sono considerati totalmente a sistema criterio contributivo, connesso esclusivamente al valore dei contributi versati nel corso degli anni.

A 35 anni sussiste comunque ancora un margine di tempo discreto per pensare eventualmente anche alla pensione complementare.

La previdenza complementare sempre più cruciale

A proposito di previdenza complementare e della sua importanza per garantirsi una rendita futura in caso di pensione bassa (ma non solo) vale la pena ribadire che tra le proposte del governo di (pseudo) riforma pensioni (ovvero come riformare le pensioni senza attuare una riforma!) c’è anche quella di dare valore effettivo sulla previdenza Inps anche ai contributi volontari.

Un vantaggio per chi ha una previdenza complementare e vuole sfruttare i contributi per accedere alla pensione anticipatamente. 

Riassumendo

  • La pensione non è un traguardo a cui si può pensare solo quando mancano pochi km all’arrivo;
  • Ci sono scelte contrattuali, di orario etc che il lavoratore fa e che incidono sulla pensione futura;
  • In molti casi di carriera discontinua è bene pensare per tempo ad una forma di previdenza complementare;
  • La riforma pensioni attualmente al vaglio potrebbe passare proprio per un maggior spazio dati ai contributi volontari per la pensione Inps.