In questo ultimo periodo abbiamo parlato molto dei tagli apportati nella pubblica amministrazione ed in particolare alla Sanità pubblica. Molti sono i problemi che i cittadini riscontrano proprio nel Servizio Sanitario Nazionale e proprio per questo, per capire come funzionano le cose da “dentro”, abbiamo deciso di intervistare un’infermiera professionale. In questo modo, oltre a conoscere la sua esperienza lavorativa potremo renderci conto che la sanità non è cambiata in peggio soltanto per noi utenti e fruitori ma anche per chi ci lavora dentro.

La persona intervistata, per preservare la sua privacy, ha preferito non usare il proprio vero nome, la chiameremo, così,  Alessia. Con l’intervista ad Alessia inauguriamo una nuova rubrica del lunedì mattina, dedicata proprio alle interviste, con la quale vorremmo dare voce alla gente, a chi vive determinate situazioni e soprattutto ai diritti violati.

Patrizia: Ciao Alessia, ci racconti la tua esperienza nel mondo della sanità?

Alessia: Ho iniziato la mia carriera di infermiera professionale negli anni 80 e posso dire che all’epoca ero contenta di aver intrapreso quella strada. Adesso, con il senno di poi e con la mia maturità, se potessi cambierei tutto il mio percorso. Oggi noi infermieri siamo solo delle macchine da guerra, siamo trattati male e con poco rispetto forse anche a causa dei media che fanno un’informazione sbagliata. Chi oggi viene in ospedale per un qualsiasi problema lo fa munito già di denunce e carabinieri dietro la porta, in attesa di un errore. Questo ci porta, inevitabilmente, a lavorare in uno stato di stress: telefonini sempre accesi in attesa che tu possa sbagliare per poterti fotografare mentre compi anche il più piccolo errore. I medici, ormai, purtroppo sono costretti a fare solo medicina difensiva, a discapito del paziente perché, comunque, per controllare tutto il cartaceo che la burocrazia impone ci vuole molto tempo, che viene sottratto al rapporto umano medico-paziente.


 

P. :I turni di lavoro come sono, giusti o pesanti? E soprattutto quanto incidono sullo stress lavorativo?

A. : I turni di lavoro, le ore di lavoro, sono sicuramente giuste e così come sono strutturate potrebbero anche andare bene. Il problema è quello del turno della notte che è lunghissima. Io lavoro in un reparto di medicina dove su 10 pazienti uno solo è autonomo mentre gli altri  hanno bisogno continuo del nostro intervento, si arriva alle 7 del mattino stravolti. Molto spesso i pazienti chiamano anche soltanto per chiedere che ora è: trattandosi in particolare di persone anziane è comprensibile la paura della notte, del buio e magari cercano in noi anche il conforto per uscire dalla solitudine in cui la notte li getta. Per questo si arriva al mattino, alla fine del proprio turno, stravolti. Per questo motivo penso che i turni di lavoro andrebbero rivisti anche in considerazione che ormai noi infermieri siamo pochi e mal supportati dalle figure giuste al posto giusto.
 

P.: La dotazione dei materiali e medicinali che ricevete per le esigenze dei malati sono sempre sufficienti?

A.: Se parliamo di materiale in dotazione alla sanità ti dico che è pessimo oltre ad essere di pessima qualità. Chi ne fa le spese, anche in questo caso, sono i pazienti e gli operatori sanitari. Parliamo, ad esempio, dei cerotti: sono obsoleti, mettere un ago ad un paziente di 90 anni  poco cosciente e poco coerente con un cerotto facilmente rimovibile significa trovarlo dopo pochi minuti in un mare di sangue, costretto a fargli un altro buco nella pelle. Questo raddoppia, e a volte triplica, il nostro carico di lavoro e aumenta, ovviamente, la sofferenza dei pazienti a causa dei presidi che non sono all’altezza della situazione.  Per quel che riguarda i farmaci, invece, molto spesso i pazienti sono costretti a portarseli da casa  se seguono delle terapie particolari di cui, ovviamente, l’ospedale non è fornito e la terapia non può essere somministrata.

L’ospedale ha solo determinati farmaci e non possono essere ordinati per un singolo paziente (si potrebbe con una ricetta bianca, ma questo  sarebbe un vero delirio considerando tutti i pazienti che ci sono). Purtroppo nella Sanità troppe persone mangiano a discapito dei pazienti e degli operatori sanitari. Noi, poi, però, dobbiamo far fronte a tutte le esigenze dei pazienti, alle richieste che ci vengono fatte dai parenti, rispondere alle ovvie domande sul perchè mancano i farmaci e i materiali. Ogni attimo siamo bombardati, siamo, alla fine, il capro espiatorio su cui riversare le frustrazioni contro un sistema che non funziona.

L’intervista ad Alessia, che ci svela i retroscena della Sanità, prosegue nella prossima pagina.

P.: Alessia, come vivi il rapporto con i tuoi colleghi? Lavorate tutti allo stesso modo, con la stessa responsabilità ed eseguendo le stesse mansioni?

A. :Come accade in tutti gli ambienti lavorativi, purtroppo, non lavoriamo tutti allo stesso modo: c’è chi va a 300 e chi va a 10. Non si può fare una colpa a chi è più lento e meno reattivo, però, perchè quello è il loro modo di affrontare il lavoro: a volte a mancare sono le energie e la fisicità necessarie a fare determinate cose con un certo ritmo. Non c’è organizzazione, ci vengono chieste tane, troppe cose e non abbiamo le energie per poter far fronte a tutto. Non veniamo considerati infermieri ma dei veri e propri factotum, a volte ci vengono chiesti sforzi davvero disumani: portiamo i prelievi in laboratorio, portiamo i pazienti in radiologia, imbocchiamo i pazienti che non riescono a mangiare da soli. Si parla, come ti ho già detto, perlopiù di persone anziane che hanno bisogno nella maggior parte dei casi di assistenza anche nel prendere un bicchiere d’acqua.

Siamo sempre noi a dover passare camera per camera per accertarci che i pazienti abbiano mangiato, bevuto, assunto la terapia. Quello che manca, come ti ho già accennato prima, è la figura intermedia, ovvero l’OSS. Se parli con colleghi del nord sembra andare tutto bene, probabilmente perché al nord queste figure sono presenti e rappresentano un grosso aiuto nello svolgimento della nostra professione. Se ci fosse questa figura intermedia, forse, il rapporto tra colleghi potrebbe anche essere più sereno perché non si vivrebbe l’ansia delle prestazioni richieste e non si vivrebbe l’ansia di dover far fronte a tante cose tutte insieme.

P. : Quanto ha influito il taglio del personale nel rapporto tra colleghi e nel servizio offerto ai pazienti?

A.: Ti faccio un esempio che mi è capitato proprio oggi. Io smontavo dalla notte e la dirigente mi ha chiesto se ero disponibile a fare anche il turno di pomeriggio: dopo 11 ore di lavoro di notte avrei dovuto lavorare di nuovo nel pomeriggio. Assolutamente non è possibile fisicamente e mentalmente. Dopo un turno di lavoro, almeno io, sento il bisogno di uscire fuori dall’ospedale perché altrimenti non potrei essere coerente con me stessa e con i pazienti, non potrei svolgere il mio lavoro con la serietà e la determinazione necessaria che le 6 ore di riposo mi avrebbero concesso. Purtroppo noi viviamo questa realtà  tutti i giorni a causa della carenza di personale. Siamo stanchi, siamo in burn out e nessuno se ne rende conto perché nessuno ci guarda se non per puntare il dito sulle nostre presunte mancanze senza rendersi conto che dietro c’è la stanchezza di tirare avanti mentre ci viene chiesto di eseguire troppe cose che esulano anche dai nostri reali compiti. Nessuno sembra avere rispetto di noi  come persone e come figure professionali, come esseri umani in primis: non siamo dei robot, oltre alla stanchezza risentiamo anche delle critiche immotivate e delle generalizzazioni che sempre più spesso riguardano gli infermieri.

P.: Tu personalmente, per migliorare la situazione dell’attuale sanità che si vive negli ospedali, per il bene dei pazienti e del personale, cosa cambieresti?

A.: Innanzitutto diminuirei la burocrazia perché negli ospedali non serve, quello che serve è l’umiltà, l’umanità e la disponibilità. Servono i medici che siano medici e non persone che hanno paura anche di poter esprimere il proprio parere su una diagnosi. I medici molto spesso sono “imbavagliati” dalla paura di una possibile denuncia. Anche i medici, quindi, lavorano male e sotto stress. La conseguenza è quella di trasmettere lo stress a noi infermieri che poi lavoriamo nella stessa modalità. Al momento io sono iscritta ad un sindacato ma ho deciso di destinare i soldi dell’iscrizione ad un’assicurazione per salvaguardarmi da possibili denunce. Il nostro stipendio è misero rispetto a quello che facciamo e ai rischi che corriamo: sfido chiunque a trascorrere una giornata insieme a noi , a vivere quello che viviamo, a subire quello che subiamo per capire con quale spirito, a fine turno, si torna a casa. Altra cosa che cambierei è il dare meno potere ai parenti dei pazienti, perché sono proprio i parenti che rovinano il rapporto con i pazienti. Cambierei anche gli accessi al Pronto soccorso, facendo pagare una quota a chi arriva senza un reale bisogno (magari per un’influenza o un raffreddore) togliendo, poi, attenzione a chi ne ha realmente bisogno e usa il pronto soccorso per una vera urgenza. Se anche le prestazioni più stupide fossero a pagamento forse la gente  userebbe il pronto soccorso con più responsabilità facendo, in questo modo, diminuire gli accessi. Si potrebbe lavorare con più  serenità, valutando meglio i singoli casi risparmiando qualche soldo ed essendo più efficienti. Altra cosa che cambierei è la degenza dei pazienti in ospedale: fatta una diagnosi, dopo 7 /8 giorni di degenza, andrebbero rimandati a casa. I pazienti non possono stagnare mesi nei reparti anche se poi è quello che succede perchè il medico ha paura di dimetterlo: se lo dimette e non sta bene il parente può minacciare la denuncia. Alla fine ci sentiamo costretti a tenere i pazienti in reparto perché manca il coraggio di dimetterli e questo è un circolo vizioso che dovrebbe avere termine. Tutto questo è a discapito della Sanità e di tutti i cittadini che pagano le tasse per sostenerla. Anche se la Sanità italiana è una delle migliori, io che la vivo da 33 anni posso dirti che con tutto quello che sta accadendo la stiamo rovinando.

 

                     Intervista a cura di Patrizia Del Pidio

                                                                                                                                                                                                   Se vuoi raccontare anche tu la tua storia contattami