Dai giorni dei gilet gialli alle proteste contro la riforma delle pensioni, fino alle insurrezioni delle banlieu, il popolo francese non ha mai mancato l’occasione di manifestare in modo veemente il proprio dissenso.

In questo senso bastano esempi piuttosto contemporanei, senza scomodare noti ricorsi storici. Il punto sta nel capire se, in effetti, le proteste possano aver realmente smosso la classe politica nell’ascolto della voce del popolo. Specie per quel che riguarda argomenti di interesse comune, come le pensioni.

I mesi di scioperi e proteste, infatti, non hanno convinto la presidenza francese a rinunciare alla propria riforma. La quale, nello specifico, ha disposto il progressivo innalzamento dell’età pensionistica che, sulla base di una serie di scaglioni, passerà da 62 a 64 anni.

Il Consiglio costituzionale francese, tra i cui compiti rientra la verifica del rispetto dei principi costituzionali per ogni riforma legislativa, ha ratificato quasi in toto la riforma presentata, già alla data del 14 aprile 2023. In sostanza, dalla scorsa primavera, il sistema previdenziale francese aveva iniziato la propria mutazione.

Uno stato di cose che non aveva per nulla convinto il popolo francese, tutt’altro che propenso a veder scattare l’età minima pensionistica a 64 anni anziché 62. Tuttavia, la sollevazione popolare seguita all’approvazione del testo non ha smosso il governo francese. Né, per estensione, il presidente della Repubblica, Emmanuel Macron. Che ha firmato e promulgato il testo lo stesso giorno della ratifica da parte del Consiglio, incappando nell’ira rincarata della cittadinanza. A ogni modo, non è solo il testo in sé a non convincere. Anche se non del tutto parte delle proteste, persino la sostenibilità della riforma è stata messa in discussione. E non tanto per le pensioni in sé, quanto per i costi reali del piano previdenziale.

Pensioni, la riforma francese: in cosa consiste il difetto del nuovo piano previdenziale

Secondo un rapporto stilato dall’Osservatorio sulle Pensioni, pubblicato un paio di mesi fa, il sistema pensionistico francese rischia di rimanere in deficit anche nei prossimi anni.

In pratica, l’auspicato piano di risparmio (ben 17 miliardi da riconvertire in risorse per tappare il buco del debito pubblico) non avrà effetti immediati. L’obiettivo, infatti, era quello di chiudere la falla entro il 2030 ma, nonostante gli sforzi, secondo l’organo di vigilanza non sarà possibile raggiungerlo entro quella data, anche se lo scarto dovrebbe essere comunque minimo rispetto alla voragine attuale.

L’Osservatorio stima infatti tra i 5 e gli 8 miliardi circa il debito ancora presente da qui ai prossimi 6 anni e mezzo, in parte confermando i timori del governo francese che, in fase di riforma, aveva ipotizzato una crescita del deficit parallelo all’invecchiamento della popolazione. Il problema è che persino un range ristretto è in grado di compromettere il controllo della spesa pubblica.

In sostanza, oltre ad aver scontentato la platea tutta dei lavoratori, il governo rischia di ritrovarsi al 2030 con una brutta gatta da pelare. Il piano di risparmio sarebbe quindi destinato a non funzionare, almeno non nei termini sperati. Solo a maggio, l’esecutivo francese si era esposto pubblicamente, dichiarando la riforma delle pensioni una condizione indispensabile per ripianare quasi in toto il debito pubblico, così da raggiungere ben prima del 2030 (nel 2027, secondo le stime) il livello di piena occupazione. Starà al tempo dire se sarà effettivamente così. Fatto sta che, ora come ora, oltre a dover gestire un sistema previdenziale complesso e costoso, la Francia rischia di ritrovarsi sostanzialmente al punto di partenza. Con l’incombenza delle nuove elezioni presidenziali, fissate al 2027. Praticamente il nuovo anno della verità.

Riassumendo…

  • Il 14 aprile 2023, il presidente francese, Emmanuel Macron, ha firmato e promulgato la nuova riforma delle pensioni;
  • l’età pensionistica passa da 62 a 64 anni, con step di aumento ogni tre mesi. La riforma non è stata fermata dalle proteste di piazza;
  • secondo l’Osservatorio sulle Pensioni, l’obiettivo di ripianamento del deficit entro il 2030 non potrà essere raggiunto. L’auspicato risparmio di 17 miliardi non sarebbe fattibile: a quella data, potrebbe ancora restare uno scarto di 5-8 miliardi.