Nessuno lo dice, ma per la riforma pensioni Draghi strizza l’occhio al modello tedesco. Non è mistero, anche perché già l’ex premier Giuseppe Conte aveva intravvisto possibilità di imitare la Germania in fatto di pensioni anticipate.

Anche Berlino ha problemi di sostenibilità di costi al welfare a causa dell’invecchiamento della popolazione e pesna a una riforma pensioni. Ma l’Italia è messa peggio. La sostenibilità dei conti pubblici di Roma non può che passare per un taglio alle pensioni, non più rinviabile.

Riforma pensioni e quota 100

A fine anno andrà in soffitta quota 100, tanto criticata e osteggiata dalle organizzazioni internazionali e da Bruxelles. Il sistema di pensionamento anticipato che prevede come requisiti 62 anni di età e almeno 38 di contributi, dal 2022 non esisterà più. La sua fine naturale è prevista per il 31 dicembre. Poi, in assenza di interventi adeguati, si tornerà ai requisiti previsti dalla riforma pensioni Fornero.

Posto quindi che quota 100 uscirà di scena, resta da capire come evitare lo scalone con le pensioni di vecchiaia. Il governo Draghi intende mantenere il sistema di pensionamento anticipato, ma introducendo un fattore penalizzazione per chi decide di lasciare il lavoro prima. Esattamente come avviene in Germania.

E’ una questione di messa in sicurezza dei conti pubblici di fronte all’invecchiamento progressivo della popolazione e al tendenziale aumento della spesa previdenziale. Ma come funziona il modello tedesco?

Le pensioni in Germania

In Germania si va in pensione a 66 anni (per i nati dopo il 1963 a 67 anni) e, dopo l’ultima riforma pensioni, vige un modello a tre pilastri. Il primo di questi pilastri è costituito dalla pensione statale, il secondo è costituito da pensioni integrative alle quali cui lo Stato contribuisce con un supporto economico ed è rivolto ai lavoratori dipendenti. Il terzo pilastro è invece costituito dalle pensioni private, a libera scelta del lavoratore.

A differenza che in Italia, la pensione in Germania è da sempre legata ai contributi versati, metà a carico del lavoratore metà a carico del datore di lavoro e il sistema di calcolo è sempre stato quello contributivo, il che porta a concludere che l’importo della pensione è mediamente più basso che in Italia, meno del 50% della retribuzione.

La pensione anticipata in Germania

In Germania, come detto, si va in pensione a 66 anni (l’età è in aumento) o, in alternativa, con 45 anni di contributi. Ma si può uscire anche in anticipo, con le dovute eccezioni per chi svolge lavori usuranti o nelle forze armate o di polizia.

I lavoratori precoci ed esposti a lavori usuranti, ad esempio, possono andare in pensione a 63 anni, ma solo se hanno 45 anni di contributi (da noi ne bastano 41).

In Germania, però, è anche possibile lasciare il lavoro in anticipo, ma non prima dei 63 anni, e chi lo fa perde lo 0,3% della propria pensione per ogni mese: in un anno la percentuale sale al 3,6%. I nati prima del 1964 accedono alla pensione piena con 35 anni di contributi e 65 anni di età.

La misura è penalizzante e tende a scoraggiare il pensionamento anticipato, anche se negli ultimi anni sono molti i lavoratori che lasciano anzitempo il lavoro accontentandosi di un assegno più basso. Viceversa il sistema tedesco riconosce un premio per chi posticipa il pensionamento.

Riforma pensioni e penalizzazione

La riforma pensioni in Italia sarà quindi probabilmente improntata su tale modello penalizzante. In pratica si potrà lasciare il lavoro qualche anno prima, ma solo se si è disposti a subire una decurtazione della pensione.

In altre parole, visto che in Italia sui conti pubblici pesa maledettamente il calcolo della pensione col sistema retributivo, si vorrebbe introdurre l’opzione del prepensionamento solo con sistema interamente contributivo. Il modello, più che quello tedesco, è quello di “opzione donna” dove si chiede alla lavoratrice che decide di andare in pensione in anticipo di rinunciare al calcolo della pensione col sistema misto.

Ne deriva una penalizzazione, rispetto al calcolo prospettico della pensione di vecchiaia, anche del 30% dell’assegno.