Tra le riforme che il governo Meloni è chiamato a varare, un posto in prima fila lo ha sicuramente la riforma delle pensioni. Che è pure la riforma più difficile da varare, tra le tante proposte che ci sono e le dotazioni finanziarie scarne di cui dispone l’esecutivo. Consentire ai lavoratori di poter accedere alla pensione in anticipo è una cosa a cui il governo sta lavorando. Ripetiamo, si tratta di una strada impervia e irta di difficoltà, ma qualcosa deve necessariamente essere fatta.

Per superare la riforma Fornero e per permettere ai lavoratori di non subire i pesanti inasprimenti che questa riforma ha introdotto dal 2012 ad oggi. E con effetti che andranno avanti anche in futuro. Un nostro lettore ci chiede quali siano gli scenari futuri. Oggi approfondiamo una nuova proposta INPS che può essere considerata davvero alternativa a tutte quelle che cita il nostro lettore e di cui in passato abbiamo molte volte approfondito il loro funzionamento.

“Salve, volevo sapere a che punto siamo con la riforma delle pensioni. Avendo superato abbondantemente i 60 anni e trovandomi con una discreta carriera contributiva, ben oltre i 35 anni, volevo capire se presto potrò sfruttare qualche nuova misura. Sento parlare di quota 96 con 35 anni di contributi e 60 anni di età, o di quota 41 per tutti o ancora di flessibilità a partire dai 62 anni. Cosa c’è da attendersi dal nuovo governo?”

Riforma delle pensioni, misure diverse in base a reddito, zona di residenza e aspettativa di vita

Il tavolo della riforma delle pensioni è sempre un tavolo aperto. Infatti ad inizio settembre diversi sono stati gli incontri tra esecutivo e sindacati. I tecnici continuano a lavorare sulle pensioni, anche se pare che gli incontri siano terminati al solito modo. Il governo apre ad ipotesi di riforma, anche se per gli anni futuri. I sindacati invece rivendicano il fatto che tutto venga sempre rinviato al dopo.

E nella legge di Bilancio ormai imminente, non ci sarà spazio che per alcune proroghe delle misure oggi in scadenza. Parliamo di quota 103, dell’opzione donna e dell’Ape sociale con 32 anni di contributi. Sono le solite misure in scadenza il 31 dicembre che il governo, con qualche correttivo o meno, dovrebbe prorogare nel 2024. Perché è la soluzione più comoda per posticipare tutti i discorsi riformatori all’anno prossimo e all’intera legislatura.

La riforma delle pensioni e le misure in campo

Nessun dubbio che la quota 41 per tutti sia una misura che si valuta di inserire in una ipotesi di riforma del sistema pensionistico italiano. La misura, senza vincoli di età, consentirebbe a tutti i lavoratori di accedere alla quiescenza raggiungendo semplicemente i 41 anni di contributi versati. Con la quota 96 invece, si consentirebbe a chi ha compiuto 61 anni di età, di aggiungere almeno 35 anni di contributi versati per completare la quota 96 che consentirebbe l’uscita per la pensione. Con la flessibilità invece, partendo da una soglia minima di 20 anni di versamenti, il lavoratore potrebbe godere della facoltà di scegliere quando lasciare il lavoro a partire dai 62 anni di età. Sono le misure di cui sempre si parla quando c’è da affrontare l’argomento della riforma delle pensioni. Ma c’è anche un altro aspetto da considerare. Le proposte di inserire nuove misure nel sistema, si susseguono a ritmo frequente. Ed anche se l’INPS ha accusato media ed esperti di parlare di proposte dell’Istituto nonostante lo stesso non sia mai stato invitato ai summit tra governo e sindacati, ci sono novità che provengono proprio dall’Ente.

Aspettativa di vita, reddito e zona di residenza

Sembra infatti che l’INPS abbia recentemente proposto di passare ad una riforma delle pensioni che tenga conto di alcuni aspetti mai usati prima.

Rimodulare le pensioni sulla stima di vita della popolazione, sulla zona di residenza e sul lavoro svolto. Perché si tende a considerare, in base a questa presunta proposta, di riparametrare le pensioni in base alla vita media di un lavoratore. In pratica più si vive statisticamente meno si prenderebbe di pensione. La motivazione è quella della spesa pubblica, perché è evidente che più si vive più costa all’INPS pagare le pensioni. Ed è questa la motivazione che ha spinto i legislatori a collegare le prestazioni alla stima di vita della popolazione. Perché aumentare i requisiti di accesso alle pensioni ha alla base proprio il fatto che l’INPS deve erogare la pensione per meno tempo ad un pensionato, per risparmiare sulla spesa pubblica. Stavolta però non si guarda ai requisiti, ma all’importo della pensione.

Cosa cambierebbe in base alla nuova proposta

Il meccanismo è sempre lo stesso. Più aumenta la stima di vita degli italiani, più si allontanano le pensioni. Per esempio nel 2019 proprio in virtù dell’aumento della vita media degli italiani, le pensioni subirono un inasprimento di 5 mesi. Così le pensioni di vecchiaia salirono a 67 anni come età pensionabile. E le pensioni anticipate passarono a 42 anni e 10 mesi per gli uomini ed a 41 anni e 10 mesi per le donne. E nel 2027 dovrebbe abbattersi un altro inasprimento, stavolta di 2 mesi per entrambe le misure. Adesso si passa a pensare di calcolare le pensioni a seconda delle categorie dei beneficiari. Perché la vita media della popolazione deve essere calcolata in base alla zona di residenza ed alla tipologia di attività lavorativa svolta. Chi è meno abbiente, perché vive in condizioni reddituali non soddisfacenti, secondo uno studio, ha una vita media più bassa delle persone per così dire, più benestanti. Così chi svolge un lavoro logorante e pesante, vive meno di chi invece fa un lavoro meno faticoso. Naturalmente non sempre questi parametri corrispondono alla realtà, ma si parla di media e non di casi singoli.

I dati dello studio INPS

In altri termini, secondo questa ipotesi, verrebbero modificati i coefficienti che trasformano il montante dei contributi in pensione. Oggi questi coefficienti tengono conto solo dell’età anagrafica di uscita dal mondo del lavoro. In base alla proposta invece, si terrebbe conto pure di dove vive un soggetto, in che condizioni vive e di che lavoro svolge. Perché all’interno dello Stivale, la vita media cambia da zona a zona anche per via delle politiche sanitarie regionali e della virtuosità della Sanità Pubblica in un determinato posto. Stando ad alcuni dati statistici che devono però meglio essere approfonditi, un dirigente ha una speranza di vita post 67 anni di quasi 20 anni mentre un operaio non arriva a 18 mesi. Allo stesso modo, chi vive in Trentino (donne soprattutto), ha una speranza di vita di oltre 21 anni mentre in Campania o in Sicilia, si arriva a mala pena a 17 anni. Stesse marcate differenze esistono tra persone dei ceti alti della popolazione pensionata e persone meno abbienti dal punto di vista reddituale.

L’INPS prende le distanze da ricostruzioni giornalistiche eccessive sui dati dello studio

Tutto quindi nasce da uno studio sulla vita media della popolazione diviso per fasce e con diversi parametri. Molte testate hanno riportato questi dati come una vera e propria proposta dell’INPS. Ma proprio l’Istituto ha prodotto un comunicato in cui spiega meglio il tutto, prendendo le distanze da ciò che i giornali hanno scritto, assegnando all’INPS una vera e propria nuova proposta di riforma delle pensioni. L’INPS sostiene che non c’è alcuna sua proposta di riforma delle pensioni, anche perché l’INPS non ha mai partecipato, non essendo stata invitata, ai summit tra esecutivo e parti sociali. L’unica proposta che l’INPS ha mai fatto è quella che porta il nome di Pasquale Tridico, che trattava di pensioni in quote (contributiva a 62 anni e retributiva a 67 anni).