Sicuramente se c’è stata negli ultimi anni una misura che più di altre ha rappresentato una validissima alternativa alle classiche misure previdenziali in vigore. Si tratta di quota 100, una misura che forse è un unicum nel suo genere. Almeno per età e contribuzione necessaria. E lo dimostra cosa è successo dopo il 31 dicembre 2021, cioè da quando la misura non è più in vigore. Se c’è da considerare qualcosa su questa misura però, non si può non considerare il fatto che sia stata abbastanza rigida come struttura, soprattutto per il vincolo della cessazione di qualsiasi altra attività lavorativa, salvo rare eccezioni.

“Sono un pensionato di 64 anni che a novembre 2021 è andato in pensione raggiungendo i 38 anni di contributi sfruttando la quota 100. Adesso però ho un problema. A gennaio 2023 ho deciso di accettare un lavoro. Il mio vecchio datore di lavoro, titolare di un ristorante, mi ha chiesto di fargli il servizio di cameriere, mio mestiere per 38 anni, per i primi 3 mesi dell’anno per necessità sue personali. Ero uno di fiducia e lui, che faceva servizio di sala come me, sarebbe stato assente per diversi giorni.

Per evitare guai, mi ha assunto regolarmente, e l’INPS mi ha mandato la comunicazione che ho perso la pensione e che dovrò restituire i soldi di pensione presi prima. Ho studiato la normativa ed effettivamente hanno ragione all’INPS, perché non avrei dovuto lavorare. Ma mi chiedo perché adesso devo restituire la pensione precedente quando non lavoravo. Un salasso se devo dare indietro tutte queste mensilità di pensione.”

Ecco chi rischia di dover restituire ciò che ha preso con quota 100

La pensione con quota 100 è stata importante per tutti i tre anni di funzionamento. Un unicum, come dicevamo, perché mai una misura che consente di lasciare il lavoro a 62 anni è stata estesa a tutti i lavoratori. La quota 100 infatti non presentava vincoli o limitazioni di nessun genere per quanto riguarda le platee dei potenziali aventi diritto.

Bastavano quindi 62 anni di età e 38 di contributi. Due soglie minime basse se si paragonano a quelle della quota 102 dello scorso anno o della quota 103 di questo 2023. Infatti la quota 102 aveva come età di uscita i 64 anni e come carriera contributiva 38 anni. Adesso la quota 103 ha riportato indietro l’età pensionabile della quota, che è scesa a 62 anni. Ma i contributi necessari nel frattempo sono diventati pari a 41 anni.

Divieto di cumulo dei redditi di pensione con i redditi da lavoro

Ecco perché la quota 100 è senza dubbio la migliore delle tre misure. Ma per tutte e tre vige un obbligo fondamentale da rispettare non tanto per prendere la pensione, ma soprattutto per continuare a percepirla. Un obbligo che vale anche per chi prenderà la quota 103 quest’anno, oppure chi prenderà le altre due misure con il meccanismo della cristallizzazione nel corso del 2023, avendo maturato il diritto negli anni passati. L’obbligo o meglio, il divieto è quello di lavorare. Non si potrà lavorare e prendere contemporaneamente la pensione con una di queste quote. La pena è la perdita del beneficio e contestualmente la restituzione delle domme percepite precedentemente.

Cosa va restituito da chi torna a lavorare nonostante la pensione con quota 100, quota 102 o quota 103

Andare in pensione con una delle misure a quota previste dall’INPS ancora nel 2023, prevede l’obbligo di rispettare il divieto di cumulare i redditi da lavoro con quelli di pensione. In pratica chi prende la quota 100, oppure le altre due quote, non potrà lavorare se non con lavoro autonomo occasionale. E fino alla soglia massima di 5.000 euro annui. Chi, come il nostro lettore torna a lavorare dopo aver percepito la quota 100, dovrà oltre che lasciare la pensione, da cui decadrà come diritto, anche restituire le somme prese precedentemente.

Ma non tutte le mensilità percepite, perché sono da restituire all’INPS le somme prese nello stesso anno in cui il pensionato torna a lavorare. Quindi, nel caso del nostro lettore, dovrebbero essere restituite all’INPS solo le mensilità di gennaio e febbraio.