Referendum costituzionale del 4 dicembre è l’appuntamento nel quale gli italiani saranno chiamati alle urne per esprimere il proprio voto sulla riforma costituzionale promossa dal governo Renzi. I cittadini dovranno decidere con un SI o con un NO se approvare le modifiche alla nostra Costituzione previste dal ddl Boschi. La riforma è già stata approvata dal nostro Parlamento, ma potrà entrare in vigore solo se il referendum costituzionale avrà esito positivo.  Il risultato di questo tipo di consultazione sancirà il futuro della nostra carta costituzionale.


Vediamo di andare nel dettaglio e capire in cosa potrebbe migliorare il sistema italiano e in cosa no.

Ecco elencati i motivi per cui votare SI al referendum ed i motivi per cui invece votare NO al referendum.

Referendum costituzionale: i motivi del SI

Superamento del bicameralismo perfetto

Col sistema attuale, il nostro Parlamento è formato da Camera e Senato entrambe coi medesimi poteri di modifica delle leggi e sfiducia verso il governo.

Con il SI al referendum, il Senato subirebbe una vera e propria rivoluzione. Dagli attuali 315 eletti direttamente dai cittadini, si passerebbe a solo 100 rappresentati eletti in maniera indiretta, con funzioni molto limitate rispetto ad oggi. Inoltre ci saranno le seguenti modifiche:

  • il Senato discuterà e voterà assieme alla Camera solo le leggi che riguardano i rapporti tra Stato, Unione Europea e territorio, oltre che su leggi costituzionali, revisioni della Costituzione, leggi sui referendum popolari, leggi elettorali, leggi sulla Pubblica Amministrazione, leggi su organi di governo e sulle funzioni di Comuni e Città Metropolitane;
  • per quanto riguarda le altre leggi ordinarie, il Senato può chiedere alla Camera la revisione di una legge entro 10 giorni dalla sua presentazione, su richiesta di 1/3 dei suoi componenti. La Camera può decidere di non accogliere le modifiche proposte e andare alla votazione finale senza ascoltare il Senato. Le eventuali modifiche proposte alle leggi di bilancio o su leggi riguardanti competenze che vengono assegnate esclusivamente alle Regioni, possono essere ignorate dalla Camera solo se viene superata nella votazione la maggioranza assoluta;
  • i senatori possono presentare disegni di legge alla Camera solo se il Senato appoggia la proposta a maggioranza assoluta.

L’intento è quello di trasformare il Senato in una “Camera delle Regioni” e cercare di velocizzare l’iter legislativo garantendo più poteri alla Camera dei Deputati.

Abolizione degli organi costituzionali superflui

Con la riforma viene abolito il Consiglio Nazionale dell’Economia del Lavoro (CNEL).

Nel testo costituzionale attuale, il CNEL ha potere di proposta legislativa sui temi legati all’economia ed al lavoro ma nella storia italiana non ha mai inciso in maniera rilevante nell’iter legislativo. La sua abolizione permetterà di risparmiare diversi milioni all’anno. Verranno abolite del tutto anche le Province e le loro funzioni saranno spartite fra Comuni e Città Metropolitane.

Leggi di iniziativa popolare e partecipazione

La riforma prevede nuove modalità per le leggi proposte dai cittadini. Per presentare un ddl di iniziativa popolare in Parlamento saranno necessarie 150.000 firme, attualmente ci vogliono  50.000 firme, ma vi sarà la garanzia costituzionale che queste dovranno essere discusse e votate in Parlamento. Viene anche introdotto un nuovo tipo di referendum: il referendum “propositivo” o “di indirizzo” permetterà ai cittadini di richiedere al Parlamento di emanare una nuova legge su un particolare tema.

Riduzione dei parlamentari e taglio dei costi

Il Senato sarà composto da soli 100 membri: 74 verranno nominati all’interno dei vari Consigli Regionali con un metodo proporzionale in base alla popolazione e ai voti presi dai partiti, mentre 21 saranno scelti dagli stessi Consigli Regionali fra i sindaci della Regione. Ogni senatore ricoprirà la propria carica per tutta la durata del suo mandato amministrativo e non riceverà alcun compenso per la sua attività parlamentare.

I 5 senatori rimanenti verranno nominati dal Presidente della Repubblica e rimarranno in carica per sette anni.

La carica di Senatore a Vita rimarrà in vigore solo per gli ex-Presidenti della Repubblica e per coloro che già la ricoprono.

Stabilità del governo

Il Senato non avrà più il potere di sfiduciare il governo in carica, ma questo potere rimarrà prerogativa della Camera dei Deputati. Grazie all’Italicum, la nuova composizione della Camera garantirà alla coalizione vincitrice un numero adeguato di deputati per formare un governo stabile e duraturo.

Sono previsti anche limiti precisi che l’esecutivo dovrà seguire per l’emissione di decreti legge.

Per i motivi del No andate alla pagina 2.

Referendum costituzionale: i motivi del NO

Una riforma per adeguarsi a Bruxelles e alla governance economica europea

Al seguente indirizzo Le ragioni della riforma costituzionale presente sul sito del Governo, dunque si tratta di una relazione ufficiale potete controllare, si legge testualmente, nel primo paragrafo “Le ragioni della riforma”:
Lo spostamento del baricentro decisionale connesso alla forte accelerazione del processo di integrazione europea e, in particolare, l’esigenza di adeguare l’ordinamento interno alla recente evoluzione della governance economica europea (da cui sono discesi, tra l’altro, l’introduzione del Semestre europeo e la riforma del Patto di stabilità e crescita) e alle relative stringenti regole di bilancio (quali le nuove regole del debito e della spesa); le sfide derivanti dall’internazionalizzazione delle economie e dal mutato contesto della competizione globale…
Le ragioni della riforma sono dunque dichiarate dal Governo stesso, e sono l’integrazione europea, adeguarsi agli ordinamenti interni della governance economica, alle regole di bilancio di Bruxelles, alle sfide della internazionalizzazione delle economie.
Si tratta dunque di una riforma per cedere sempre di più alle ragioni dell’Europa, una Europa in cui il conta quello che decide la governance economica.

Il nuovo Senato

L’accusa che viene mossa al nuovo Senato riguarda le competenze che esso dovrebbe condividere con la Camera dei Deputati.

Nella riforma sono specificati gli ambiti in cui le due Camere hanno potere legislativo concorrenziale, ma non vengono indicati i criteri con cui riconoscere le leggi che rientrano in queste fattispecie.

Sicuramente verranno sollevati numerosi dubbi di competenza con il rischio che le leggi debbano essere studiate caso per caso per capire se includono prerogative affidate al Senato. Questo rischia di rallentare di molto l’iter legislativo entrando in netto contrasto con la riforma. Uno dei motivi fondamentali del ‘NO’, dunque, è che non solo non si facilita il cammino delle leggi, ma che in più esso sarà ancora più farraginoso, con confilitti di competenze e caos generalizzato.

Le criticità riguardano anche le modalità di nomina. Vi sono forti perplessità sul fatto di aver ridotto troppo i poteri del Senato, rendendolo inutile come vero “raccordo” tra Stato e amministrazioni locali e viene denunciato il rischio di trasformare i senatori in “rappresentanti della maggioranza al potere nella singola regione”. Dunque, la legge di riforma costituzionale avrebbe una contraddizione interna: farebbe del Senato una Camera delle Regioni, ma, contestualmente, ridurrebbe di molto il potere stesso delle Regioni a favore dello Stato Centrale.Questo il motivo per cui si tratterebbe di una riforma non solo ‘dannosa’, ma essenzialmente ‘inutile’.

Una riforma in realtà politica, per un futuro dominato dal Pd

Questa riforma permetterà al Pd di ipotecare il Senato per almeno la prossima legislatura, probabilmente le prossime 2. Sappiamo bene quanto il Pd sia forte a livello locale, perchè partito tradizionale con una storia e dunque radici profonde nelle realtà locali e regionali. Basti dire che attualmente il Pd governa 17 regioni su 20, e le rimanenti 3 sono governate dal centro-destra.

Ebbene questa riforma sembra fatta apposta per escludere sostanzialmente dal Senato il M5S, dando invece al Pd la quasi metà dei Senatori. Appare quindi probabile che il Pd, d’accordo con una parte connivente del centro-destra, entrambi schieramenti tradizionali avversati dal M5S, abbia fatto una riforma che gli permetterebbe di dominare il Senato anche in caso di perdita delle elezioni nazionali. In pratica si sarebbero creati una via di controllo dell’intero Parlamento, anche in virtù del fatto che il Senato può rivotare le leggi e rimandarle modificate alla Camera.

Il rapporto tra politica e istituzioni: perché il tempo di approvazione non è connesso alla procedura legislativa

Un’altra questione, infatti, riguarda il rapporto tra politica e istituzioni: un processo legislativo può essere più o meno lungo a seconda del dibattito politico che suscita. Una legge molto discussa, come è stata quella sulle unioni civili, ha impiegato mesi a completare il suo iter, ma nonm per una lentezza stritturale, ma perché era un tema molto sentito nel paese e, dunque, in Parlamento; altre leggi, meno ‘sentite’, sono state approvate in pochi giorni attraversando tutto l’iter parlamentare odierno. Cosa significa? Che la velocità o la lentezza nell’approvazione di una legge è dovuta maggiormente al confronto politico che non a questioni procedurali. In questo senso, si può dire tranquillamente, secondo i sostenitori del NO, che non vi sarà alcuna differenza sostanziale, ma, probabilmente, un peggioramento.

Una contraddizione della riforma: meno potere alle Regioni ma un Senato su base Regionale

Sempre per quanto riguarda il nuovo Senato c’è un’altra questione che viene criticata: di fatto, gli italiani non potranno più votare i senatori, il che rappresenta sempre e comunque una porzione di democrazia in meno. Tali rappresentanti che, come abbiamo visto, avranno comunque delle prerogative, non saranno scelti mediante una consultazione nazionale (come avviene per i deputati), il che non può che suscitare forti dubbi: laddove i cittadini perdono anche parzialmente il diritto di voto, si tratterebbe sempre e comunque di una ‘perdita’ di diritti democratici.

Una riforma che favorisce la casta? Il problema dell’immunità e della partitocrazia

C’è da sottolineare, inoltre, secondo i sostenitori del NO, la questione più cara a Travaglio, quella dell’immunità: gli amministratori locali che, qualora vincesse il ‘SI’, entreranno in Senato riceveranno anche l’immunità parlamentare. Secondo il noto giornalista, potrebbe diventare un salvacondotto utilizzato dai partiti per ‘salvare’ alcuni propri rappresentanti. Secondo una mappa pubblicata da Il Fatto Quotidiano, la quantità di amministratori locali ‘corrotti’ è enorme e riguarda soprattutto i maggiori partiti con in testa proprio il PD di Renzi che promuove la riforma. Il sistema Italia – questa la posizione del ‘NO’ – già di per sé ‘favorisce’ la corruzione, ma questa riforma costituzionale darebbe la garanzia a molti amministratori locali di potersi comportare in tale maniera con la possibilità di essere difesi dallo scudo dell’immunità. La questione riguarda ovviamente la partitocrazia: quei partiti che hanno una forza maggiore sul territorio si assicurano il controllo del Senato, attraverso rappresentanti non eletti dai cittadini ma dagli stessi partiti (la legge elettorale non permette, infatti, di scegliere gli amministratori locali). Un caso clamoroso va sottolineato: negli USA, la Clinton ha perso le elezioni con Trump pur avendo preso 2 milioni di voti in più, proprio per il sistema elettorale di tipo ‘regionale’ basato sui risultati a livello del singolo Stato. Per i sostenitori del ‘NO’, dunque, questa riforma prenderebbe del sistema americano il dispositivo peggiore: controllare le regioni significherà controllare il Senato. Il Presidente del Consiglio, dunque, avrebbe maggiore potere anche in questo senso: dominerebbe alla Camera, avrebbe un Senato a propria disposizione e formato da uomini di ‘fiducia’ (e che devono l’immunità al premier di turno), oltre ovviamente il rinforzamento del potere esecutivo, per cui si può parlare di governo ‘autocratico’.

Governo “autocratico”

Il governo avrà la facoltà di richiedere al Parlamento un canale preferenziale per l’approvazione delle leggi ritenute necessarie per l’attuazione del proprio programma. La Camera avrà tempo 5 giorni per accogliere la richiesta e, se venisse accolta, 70 giorni per approvarla con massimo 15 giorni di rinvio.

Questa formula non potrà essere applicata alle leggi di competenza del Senato, alle leggi elettorali, alle ratifiche di trattati internazionali, alle leggi di amnistia e indulto e alle leggi di bilancio.

Dati i numeri garantiti alla maggioranza dalla legge elettorale attuale, secondo alcuni con questa formula vi è un forte sbilanciamento di potere a favore del Primo Ministro e del Governo che presiede, il quale può far velocemente approvare i propri disegni di legge senza un’adeguata discussione alla Camera.

Su questo punto, sono molto critici i sostenitori del ‘NO’: il concetto di democrazia si basa sull’equilibrio dei poteri; questa riforma, sbilanciando tutto verso l’esecutivo e penalizzando il legsilativo, farebbe venire meno le caratteristiche stesse della democrazia liberale. Si andrebbe, insomma, verso il sistema di un ‘uomo solo al comando’, il che rappresenta sempre e comunque, secondo i sostenitori del ‘NO’, un pericolo per la democrazia.

Riforma Titolo V e caos competenze

La riforma Titolo V è sicuramente uno degli aspetti più dibattuti e difficili da comprendere per chi non ha nozioni di diritto costituzionale. Vengono ridefinite diverse competenze prima esclusive delle Regione che, post-riforma, tornerebbero in mano allo Stato. In particolare:

  • viene cancellata la definizione di “competenza concorrente” fra Stato e Regione, con le diverse materie ridistribuite fra le due istituzioni;
  • viene introdotta la nuova “clausola di supremazia”, che permette allo Stato di intervenire sulle questioni di competenza non “esclusiva” delle Regioni nei casi in cui è necessario un intervento per l’unità giuridica/economica dello Stato, o di più generico “interesse nazionale”;
  • viene introdotto anche il cosiddetto “regionalismo differenziato”, grazie al quale alle Regioni non a Statuto Speciale possono essere attribuite particolari forme di autonomia, a condizione che presentino un bilancio in equilibrio. L’attribuzione del regionalismo differenziato dev’essere approvata da Camera e Senato ed è inoltre richiesto un dialogo tra Stato e Regione interessata. Il Referendum Costituzionale porterà dei cambiamenti anche per la Sanità;
  • in linea generale vi è quindi un forte accentramento di potere nelle mani dello Stato. Scenario decisamente opposto rispetto alla situazione attuale. In una lettera aperta al governo inviata lo scorso aprile, 56 costituzionalisti hanno anche evidenziato la possibilità che si verifichi un forte rischio di confusione legislativa: con questa revisione del Titolo V, la procedura legislativa andrà a complicarsi in quanto prevederà “leggi bicamerali, leggi monocamerali ma con possibilità di emendamenti da parte del Senato, differenziate a seconda che tali emendamenti possano essere respinti dalla Camera a maggioranza semplice o a maggioranza assoluta”. Un caos di leggi decisamente in controtendenza con le aspettative di semplificazione e velocizzazione degli iter legislativi.

Volontà politica: un voto di sfiducia al governo Renzi

Se al Referendum Costituzionale dovesse prevalere il NO potrebbe cadere il governo Renzi. È difficile prevedere come Renzi gestirebbe una potenziale vittoria del NO. Ma effettivamente se i cittadini non riconoscessero legittimo uno dei principali punti del programma di governo, i rappresentanti in Parlamento non potrebbero ignorare il significato politico del risultato. Si aprirebbe la possibilità di presentare una mozione di sfiducia al governo.

 Aggiornamento del 2 Dicembre: i motivi del No sono stati ottimamente sintetizzati con un video da Marco Travaglio, potete leggerne una introduzione al seguente link: Referendum 4 dicembre: i 10 motivi per il No di Marco Travaglio

Come si è divisa l’Italia tra SI e NO? Ecco chi voterà a favore e chi contro a pagina 2.

Chi vota SI al Referendum Costituzionale

Le ultime dichiarazioni di Matteo Renzi, che ha parlato di accozzaglia per il ‘NO’, hanno suscitato grandi polemiche, ma anche risposte di questo genere: se quasi tutte le forze parlamentari – e nel paese – di destra e di sinistra appoggiano il NO, il problema non è l’accozzaglia, ma la riforma stessa. In realtà ad appoggiare il SI c’è qualche impresentabile e su tutti si parla costantemente di Denis Verdini, colui che ha da sempre puntellato il governo Renzi da destra. Ad appoggiare il fronte del SI, comunque, c’è soprattutto la maggioranza PD, alcuni esponenti dei Radicali (come Emma Bonino), Angelino Alfano e la sua destra moderata e Confindustria. In più, la maggior parte dei giornali economici europei e americani sono favorevoli alla riforma: al di là della retorica dei ‘poteri forti’, il fronte del SI sembra ridotto, ma potente. Dal mondo della società civile, la riforma incassa il favore di Roberto Benigni, Ilaria D’Amico, Claudio Bisio, Alessandro Cecchi Paone, Susanna Tamaro, Umberto Galimberti, Flavio Briatore, Natasha Stefanenko, Giampiero Mughini, Stefania Sandrelli, Oliviero Toscani, Paolo Crepet, Federico Moccia, Liliana Cavani.

Chi vota NO al Referendum Costituzionale

Il fronte del NO è indubbiamente molto variegato. Dal punto di vista politico va dai dissidenti PD e Sinistra Italiana a Salvini, passando per il centrodestra (i berlusconiani, in realtà, sono molto indecisi) e il M5S. Le motivazioni sono ovviamente differenti: per la minoranza DEM, oltre a motivi tecnici e ideologici, si tratta di cercare di fare fuori Renzi e la sua idea di potere personale, considerata troppo berlusconiana e un passo indietro per il partito democratico. Da Sinistra le accuse sono soprattutto di cripto-autoritarismo e si legge in questa direzione la parabola di tutte le riforme sponsorizzate dal governo Renzi: dal Jobs Act, i cui effetti non sono stati positivi sull’occupazione e l’abolizione dell’articolo 18 ha portato a un numero maggiore di licenziamenti, alla Buona Scuola, che è stata la riforma del sistema dell’istruzione più criticata degli ultimi anni. Il M5S pone l’accento soprattutto sul fatto che si tratti di una riforma che difende e riproduce la casta (come abbiamo spiegato poco sopra), mentre Salvini vuole essenzialmente mandare a casa Renzi e cercare di puntare al governo. Dal mondo della società civile, a votare NO saranno Elio Germano, Sabrina Ferilli, Claudio Santamaria, Piero Pelù, Toni Servillo, Fiorella Mannoia, Fedez, Erri De Luca, Sabina Guzzanti, Alba Parietti, Leo Gullotta, Maurizio Crozza, Anna Oxa, J-Ax, Andrea Camilleri.