La pensione con Quota 103, nata in sostituzione di Quota 102, terminerà il 31 dicembre 2023. Si tratta di una misura temporanea introdotta per mitigare l’impatto dello scalone con i requisiti della Fornero che dal prossimo anno torneranno a pieno regime.

La domanda a questo punto che ci si pone è: cosa succederà dal 2024 per le uscite anticipate? Si potrà ancora andare in pensione a 62 anni di età con 41 di contributi? Tutto è ancora avvolto dal mistero della riforma pensioni, di cui si parla da tempo, ma che non ha partorito finora alcun risultato soddisfacente.

La pensione anticipata dopo la fine di Quota 103

Sullo sfondo pesa la spesa pensionistica che ha superato quota 231 miliardi nel 2022 (+5,9% rispetto al 2021) con previsioni di crescita costante nel tempo e tendenza ad arrivare al 17% del Pil. Difficile in questo contesto proporre nuove pensioni anticipate: non ci sono i soldi, è evidente.

Terminata Quota 103, quindi, su cui peraltro sono circolate voci di una proroga anche per il 2024, non si vedono alternative all’orizzonte. E Quota 41 è destinata a restare un sognoi nel cassetto per Lega e sindacati. Come si andrà in pensione, allora, l’anno prossimo? Le strade percorribili restano due. Con il trattamento di vecchiaia a 67 anni di età e con 20 di contributi, oppure in pensione anticipata con 42 anni e 10 mesi di contributi (41 e 10 mesi per le donne) indipendentemente dall’età.

Queste saranno le due uniche strade percorribili dai lavoratori per andare in pensione nel 2024. Uniche eccezioni restano, al momento, quelle previste per Ape Sociale, Opzione Donna e Quota 41 per lavoratori precoci. A parte ovviamente i militari e gli appartenenti al comparto sicurezza per i quali restano in vigore regole diverse. Per costoro l’uscita dal servizio resta generalmente confermata a 60 anni con possibilità di anticipo a 58 anni in presenza di anzianità contributiva di almeno 35 anni.

Le deroghe per il settore privato

Il decreto Milleproroghe ha confermato, poi, la possibilità per i lavoratori dipendenti del settore privato di accedere ai contratti di espansione, di solidarietà (per il credito) e all’isopensione.

Tre opzioni che prevedono, previ accordi sindacali con le aziende e il Ministero del Lavoro, di lasciare il lavoro a partire da 60 anni. Anche qui le misure sono temporanee, ma semre rinnovabili e rinnovate finora.

In questo caso non si tratta di pensione vera e propria, ma di un assegno di esodo volontario pagato dal datore di lavoro fino alla maturazione dei requisiti per la pensione di vecchiaia o anticipata. Nulla a carico dello Stato, quindi, ma solo uno scivolo verso la rendita pubblica a costo zero per i contribuenti.

I dipendenti della pubblica amministrazione restano i più penalizzati non potendo disporre di altrettante agevolazioni. Per costoro non resterà quindi che restare in servizio fino a 67 anni o fino al raggiungimento delle soglie contributive previste per la pensione anticipata. Salvo le eccezioni di cui sopra.