I lavoratori che maturano il diritto alla pensione con Quota 103 possono optare anche per restare al lavoro con un incentivo economico in busta paga. In cambio, però, devono rinunciare alla rendita e proseguire l’attività. Un escamotage che lo Stato ha ripristinato (ex bonus Maroni) per indurre i lavoratori a rinunciare alla pensione.

Il diritto può essere esercitato dallo scorso 15 marzo 2023 e possono usufruirne i lavoratori che entro il 31 dicembre di quest’anno raggiungono i 62 anni di età con un’anzianità contributiva di 41 anni.

La richiesta di incentivo economico va inoltrata all’Inps e al datore di lavoro, come spiega meglio l’Inps col messaggio n. 2426 del 28 giugno 2023.

In pensione a 62 anni o al lavoro fino a 67?

L’incentivo previsto dalla normativa per coloro che maturano il diritto a Quota 103 vale solo per i lavoratori dipendenti del settore pubblico e privato. E’ riconosciuto con lo stipendio nella misura contributiva pari alla quota che il datore di lavoro destina ai fini previdenziali del lavoratore. In pratica è corrisposta una maggiorazione in busta paga pari alla quota contributiva del 33% sull’imponibile previdenziale, al netto della parte a carico del lavoratore (9,19%).

Lo stipendio resta lo stesso, come previsto dal contratto in essere sottoscritto dal lavoratore, ma l’importo della busta paga aumenta. E questo è valido fino al raggiungimento dei requisiti pensionistici di vecchiaia, cioè fino a 67 anni di età. Poi cessa.

Il vantaggio è duplice: per lo Stato che non deve pagare la pensione a un lavoratore di 62 anni e che ha davanti ancora molti anni di godimento della rendita; per il lavoratore che può beneficiare di disponibilità economiche maggiori per cinque anni.

Gli effetti sulla pensione per chi rinuncia a Quota 103

Ma non è tutto oro quello che luccica. La rinuncia alla pensione con Quota 103 da parte del lavoratore comporta, sì un vantaggio economico, ma anche una perdita intrinseca di valore della pensione futura.

Dal momento in cui si rinuncia a Quota 103 per beneficiare del bonus Maroni, infatti, i contributi non sono più versati all’Inps, ad eccezione della quota a carico del lavoratore.

Ne deriva che, al momento della domanda di pensione a 67 anni (o prima) ci si ritroverà un montante contributivo che non sarà cresciuto nel tempo. Pertanto la pensione, in previsione, non sarà più alta per effetto dei contributi versati, ma solo per via dell’età anagrafica maggiore.

D’altro canto, accettare la liquidazione della pensione con Quota 103, comporta comunque un calcolo della rendita contenuto per via del fatto che a 62 anni sarà applicato (per la parte contributiva) un coefficiente di trasformazione più basso che a 67. Insomma, il dubbio è se prendere la pensione subito o più tardi percependo nel frattempo una retribuzione più alta.

Quota 103: più tasse da pagare

Ma c’è un altro aspetto da considerare e che fa desistere molti lavoratori dall’accettare l’incentivo in cambio della rinuncia a Quota 103. Il fisco. La migrazione dei contributi dall’Inps alla busta paga comporta inevitabilmente l’inserimento degli stessi a tassazione ordinaria. In pratica, se i contributi non sono soggetti a prelievo fiscale e la quota è defalcata dall’imponibile soggetto a imposta, col bonus Maroni tutto diventa tassabile. Così, al netto delle ritenute, il vantaggio è limitato e si riduce ulteriormente se si considera che la pensione futura sarà meno ricca.

Riassumendo…

  • Chi matura il diritto a Quota 103 può decidere di restare al lavoro guadagnando di più.
  • Il bonus Maroni prevede il riconoscimento dei contributi direttamente in busta paga.
  • L’incentivo economico vale solo per i lavoratori dipendenti pubblici e privati.
  • La pensione di chi rinuncia a Quota 103 sarà meno ricca in futuro.
  • Il bonus in busta paga è soggetto a tassazione ordinaria.