Chi raggiunge i requisiti per andare in pensione con Quota 103 ha diritto anche a restare al lavoro rinunciando alla rendita. La novità è stata introdotta quest’anno con la legge di bilancio contestualmente al via libera alla pensione anticipata a 62 anni con 41 di contributi.

I lavoratori possono quindi beneficiare di un incentivo economico (ex bonus Maroni) che prevede il riconoscimento in busta paga di una retribuzione maggiorata. Ovviamente riguarda i lavoratori dipendenti pubblici e provati, mentre restano esclusi gli autonomi e liberi professionisti.

Tuttavia lì incremento dello stipendio ha dei risvolti positivi nell’immediato, ma negativi sulla pensione futura.

I vantaggi del bonus Maroni

Come detto, il bonus Maroni è un premio riconosciuto ai lavoratori che rimandano il pensionamento con Quota 103. E’ riconosciuto esclusivamente a quei lavoratori dipendenti che maturano i requisiti per andare in pensione entro la fine dell’anno. Possibile che la misura sia prorogata anche al 2024, ma è ancora presto per saperlo. Ma a quanto ammonta l’incremento?

In realtà lo Stato non aggiunge nulla allo stipendio dei lavoratori, ma solo permette al datore di lavoro di non versare i contributi riconoscendoli invece in busta paga. In pratica quello che non viene dato all’Inps è riconosciuto al lavoratore. Ma attenzione, non tutti i contributi sono girati nello stipendio, solo la quota di competenza del datore (24% dell’imponibile previdenziale). La quota a carico del lavoratore (9% circa) è destinata all’Inps.

Gli svantaggi della rinuncia alla pensione con Quota 103

Ma attenzione agli svantaggi. Lo Stato non regala nulla e il bicchiere va sempre visto messo vuoto in questi casi. Chi rinuncia alla pensione con Quota 103 a 62 anni di età, ad esempio, dovrà comunque restare al lavoro ancora. E non è detto che per un dipendente sia la soluzione ideale.

Vero che si guadagnerebbe di più con l’incentivo economico, ma è altrettanto vero che la pensione futura sarà più magra perché il gettito contributivo cala di due terzi circa.

Quindi a 67 anni, ad esempio, il lavoratore otterrà una pensione più bassa rispetto a chi non eserciterà l’opzione prevista dal bonus dell’ex ministro Roberto Maroni con Quota 103.

Non solo. Ottenere una busta paga più alta, in questo caso, significa pagare anche più tasse. I soldi dei contributi che finiscono all’Inps non sono tassati, mentre quelli che vanno in busta paga sì. Aumenta l’imponibile e quindi anche la pressione fiscale sul reddito da lavoro. In altre parole si pagano più tasse.

Il part time prima della pensione

Considerato ciò qualcuno ha pensato bene di sfruttare la possibilità di rinviare l’uscita con Quota 103, ottenere l’incentivo economico e contestualmente chiedere la riduzione dell’orario di lavoro. In questo modo si potrebbe ottenere, a parità di stipendio rispetto a prima, un contratto part time che peserebbe meno in termini di sforzo lavorativo.

Certo, bisogna sempre mettere in conto che da quel momento in poi la contribuzione previdenziale cala enormemente e la pensione futura sarà meno ricca. Lo svantaggio sarebbe tuttavia recuperato posticipando l’uscita dal lavoro: anziché a 62 anni, magari a 64 o 65. Due o tre anni in più consentono di ottenere una rendita maggiore visto che al montante contributivo sarà applicato un coefficiente di trasformazione più favorevole.

Riassumendo…

  • Chi rinuncia a Quota 103 può ottenere più soldi in busta paga, ma meno sulla pensione futura.
  • Il vantaggio in busta paga si traduce in un 24% in più di retribuzione al mese.
  • Aumentano però anche le trattenute Irpef da corrispondere al fisco.
  • Ritardare l’uscita dal lavoro comporta ottenere un calcolo di pensione più favorevole in futuro.