Sono molte le vedove in Italia che percepiscono la pensione di reversibilità. O meglio, il trattamento riservato ai superstiti che risultano assicurati presso i vari istituti di previdenza. L’Inps, naturalmente, gestisce il 95% di queste spettanze.

Statisticamente sono più le donne degli uomini a beneficarne. In particolare per via del fatto che la vita media per le superstiti è più lunga rispetto a quella degli uomini. Ma quanto percepiscono e, soprattutto, ne hanno diritto se lavorano o prendono già una pensione?

Il diritto alla pensione di reversibilità al coniuge

Innanzitutto il diritto sorge in capo al coniuge e ai parenti superstiti al momento del decesso del lavoratore assicurato o del pensionato.

Se questi è in pensione, vi sarà un trasferimento diretto all’erede o agli eredi. Viceversa, se ancora stava lavorando al momento del decesso, occorre che siano stati versati almeno 15 anni di contributi o almeno 5 nell’ultimo triennio.

I superstiti che hanno diritto alla pensione di reversibilità del pensionato o del lavoratore sono in via principale il coniuge e i figli. Ma possono beneficiarne anche i fratelli, le sorelle e i nipoti. La misura della rendita di reversibilità cambia a seconda del grado di parentela e della composizione del nucleo familiare. Così come in base ai redditi.

In caso ne avesse diritto solo il coniuge superstite, la misura della pensione sarà pari al 60% dell’importo della rendita. Percentuale che però può diminuire in caso l’avente diritto percepisca altri redditi assoggettabili all’Irpef.

L’avente diritto o gli aventi diritto per ottenere la pensione di reversibilità devono fare domanda all’Inps o all’ente pensionistico di appartenenza. La decorrenza è dal mese successivo a quello del decesso e non dalla data della domanda che può avvenire in tempi diversi o in ritardo.

Limiti di reddito e misura dell’assegno

E vediamo in dettaglio come stanno le cose nel caso di presenza di altri redditi, anche derivanti da pensione.

Sempre nel caso l’unico beneficiario sia il coniuge, la soglia limite per non subire alcuna riduzione dell’importo della pensione è pari a 21.985,86 euro.

Qualora in cui il vedovo o la vedova consegua un reddito annuo superiore (da pensione o lavoro), subirà una riduzione del trattamento pari al 25%. Il taglio sale al 40% nel caso il reddito fosse ricompreso tra la predetta soglia e i 29.314,48 euro per arrivare al 50% laddove il reddito del coniuge sia superiore a 36.643,10 euro annui.

Tali riduzioni non si applicano nei casi di pensione spettante anche o solo a figli minori, studenti o inabili al lavoro. In tal caso la legge consente la possibilità di cumulare interamente la rendita del defunto con altri redditi di qualsiasi natura.