Se i requisiti per andare in pensione rappresentano il quesito principale di molti lavoratori, anche il calcolo dell’assegno è argomento importante. Quanto vale un anno di contributi o cosa si recupera restando uno o due anni in più a lavorare sono argomenti attuali sempre. E i quesiti di questo genere si susseguono.  

“Buonasera, vi ringrazio anticipatamente per la vostra risposta, se potete. Ho appena compiuto 64 anni di età ed ho già 38 anni di contributi versati. Come capite sicuramente, ho il diritto ad uscire con quota 102.

Ma qualcuno mi sta dicendo che potrei trarre vantaggio restando al lavoro ancora qualche tempo. Ho letto in un vostro articolo che ormai il mio diritto alla pensione è maturato. Quindi potrei scegliere di restare a lavorare e posticipare l’uscita a data successiva, anche non necessariamente a 67 anni di età. Quanto guadagnerei restando al lavoro un altro anno?” 

Il calcolo della pensione in sintesi 

Pensionati fiscalmente a carico

Foto: Web

La pensione viene calcolata con il metodo retributivo, contributivo e misto. Con la legge Fornero furono determinate le regole da seguire per il calcolo dell’assegno. Contributivo fino al 31 dicembre 1995 e quindi per tutti gli anni di contributi fino a quella data. Contributivo per gli anni successivi. Per i lavoratori con almeno 18 anni di contributi prima del 1996, il calcolo retributivo si estende fino al 2012. Evidente che il calcolo retributivo della pensione è quello più vantaggioso perché basato sulle ultime retribuzioni e non sul montante dei contributi. Ormai però sono sempre di più i lavoratori che hanno il metodo contributivo come unico sistema di calcolo, o come sistema da utilizzare per la maggior parte della carriera per chi rientra nel sistema misto.   

Rimandare la pensione: il sistema contributivo e come funziona per il calcolo della pensione 

Il sistema contributivo è quello più penalizzante per il calcolo della pensione spettante, ma anche quello più semplice da spiegare per chi si chiede come viene fuori l’importo della pensione spettante.

Il lavoratore destinata alla pensione una parte dello stipendio percepito mese dopo mese. È il datore di lavoro che trattiene i contributi che poi il contribuente utilizzerà quando sarà il momento in cui andrà in pensione. È pari al 33% della retribuzione annua lorda quello che un lavoratore destina verso la propria pensione futura. Tutto ciò che viene accantonato nel momento in cui si va in pensione diventa assegno dopo un calcolo basato su dei coefficienti che si chiamano di trasformazione. In pratica sono dei coefficienti che vengono utilizzati per trasformare il montante contributivo in pensione. E sono coefficienti tanto più favorevoli al diretto interessato quanto più avanti con l’età questo esce dal lavoro. 

Rimandare la pensione: un anno di lavoro in più significa una pensione più alta per due distinti motivi 

Il nostro lettore pertanto ha pienamente ragione a considerare come positivo in termini di assegno previdenziale, il restare al lavoro per qualche tempo in più. Significa infatti versare più contributi e quindi conseguire una pensione più alta. Ma quanto più alta è un argomento che va approfondito meglio. Va ricordato che in genere la pensione con il sistema contributivo è pari a circa il 70% dell’ultimo stipendio percepito dal lavoratore. Senza scendere nei tecnicismi che avvalorano questa nostra considerazione, è evidente che più ci si avvicina ai 67 anni più facile prendere un assegno più alto. Una regola generale utile a tutti però non esiste perché molto dipende dagli ultimi stipendi che il lavoratore percepisce. L’unico modo per capire più o meno come funziona il meccanismo è ipotizzare, cosa assai rara, una carriera lavorativa con stipendio costante per tutti gli anni di lavoro. Come dicevamo, il montante contributivo diventa pensione tramite l’applicazione dei coefficienti di trasformazione.

Questi sono diversi in base all’anno di uscita dal lavoro e si aggiornano ogni due anni. 

Il valore dei contributi è fattore determinante nel calcolo della pensione 

Più che gli anni di contributi e quindi più che i 38 anni che è il nostro lettore ha detto di aver già maturato, conta l’ammontare in euro di questi contributi. Ipotizzando un montante contributivo di 300.000 euro, uscendo subito a 64 anni di età il nostro lettore avrebbe diritto ad una pensione da 15.180 euro annui, cioè 1.168 euro al mese circa. Lavorando ancora un anno, e ipotizzando uno stipendio da 35.000 euro annui, il montante contributivo salirebbe di oltre 11.000 euro (i contributi versati col 33% di aliquota contributiva su uno stipendio da 35.000). Il coefficiente usato a 64 anni è pari a 5,060%. A 65 anni invece è pari a 5,220%. Significa che la pensione per il nostro lettore, ipotizzando gli stipendi e le cifre prima descritte, salirebbe a circa 1.250 euro al mese. Oltre 80 euro in più al mese con un solo anno in più di lavoro. Lavorando ancora 3 anni e arrivando alla pensione di vecchiaia ordinaria invece, con oltre 33.000 euro di contributi in più, la pensione salirebbe a 1.435 euro al mese.