L’Istat continua a tracciare un quadro indicativo sulla situazione economica italiana, indicando a grandi linee sia le prospettive di sviluppo che quelle su cui, invece, c’è ancora da lavorare. In più, qualche dato borderline per quel che riguarda la pressione fiscale.

Pressione fiscale famiglie

Nei giorni scorsi ha tenuto banco la questione dell’occupazione, indicata come in ripresa ma prettamente in termini generici. Perché l’Istituto di Statistica ha evidenziato anche come siano le giovani generazioni a pagare più duramente lo scotto della crisi, proprio per la difficoltà a inserirsi nel mondo del lavoro piuttosto che a restarci a lungo.

Eppure, i segnali sembrano essere realmente incoraggianti, almeno sul piano delle percentuali. Con l’occupazione in ripresa e una prospettiva futura tutto sommato in linea con le aspettative isto che, sulla carta, il 2023 avrebbe dovuto essere l’anno della risalita della china creata dalla pandemia. E allora, l’aumento dell’occupazione può essere letto con soddisfazione, anche se a tale dato anno da contraltare numeri decisamente meno benauguranti per quel che riguarda donne e giovanissimi.

Anche perché, non è solo il dato sull’occupazione a far discutere. Secondo quanto rilevato dall’Istat, infatti, l’indebitamento netto si attesta ora al -12,1%, rispetto al -11,3% del primo trimestre del 2022. Al contempo, si sarebbe registrata una riduzione della pressione fiscale sui contribuenti, per il quale si ragiona su una percentuale stimata del 37%. Ossia, 0,9 punti in meno rispetto al periodo tra gennaio e marzo dello scorso anno. Un quadro abbastanza ambivalente: da una parte i segnali di ripresa per quel che riguarda il lavoro in generale, dall’altra un’incidenza sempre maggiore del deficit, dovuta proprio ai minori incassi sul fronte fisco.

Pressione fiscale minore: le conseguenze della riduzione sul deficit italiano

È chiaro che ogni dato riferito all’andamento del deficit vada a riflettersi, in qualche modo, sulle oscillazioni delle percentuali relative al Prodotto interno lordo. In questo senso, secondo l’ultima analisi dell’Istat, la riduzione del peso fiscale e la sua incidenza sul debito pubblico hanno finito per intaccare anche il Pil stesso.

Il cui saldo primario e quello corrente sono risultati negativi. Ossia, rispettivamente pari al -8,8% e al -6,0%. Interessante notare che, nel primo caso, lo scarto rispetto allo scorso anno sia addirittura dell’1,2%. Mentre per il secondo dato ci si attesta su un più contenuto 0,1%. A ogni modo, lo stesso Istituto di Statistica ha precisato che i dati riferiti al primo trimestre dell’anno sono indicativi sono relativamente, specie per quel che riguarda la pressione fiscale. Se non altro se si ragiona sul prelievo annuo complessivo.

Ad esempio, nei primi tre mesi del 2022, tale dato si era attestato al 37,9%, salendo poi al 43,5% nell’ultimo trimestre. In pratica, da qui alla fine dell’anno c’è margine per un potenziale stravolgimento dello scenario. Anche perché, al contempo, si segnala un aumento del reddito delle famiglie consumatrici, cresciuto del 3,2%. Questo significa che (sempre in prospettiva) anche il compendio con la pressione fiscale potrebbe ridursi. Ciò considerando la sostanziale stabilità del potere d’acquisto delle famiglie al +3,1% rispetto ai primi tre mesi del 2022. Ad aumentare è stata anche la propensione al risparmio (7,6%). E questo è indice di una certa prudenza dei nuclei familiari italiani nel lanciarsi in direzione di una spesa più estesa. Se questo inciderà anche sul piano fiscale lo diranno i prossimi mesi.