Forse non tutti sanno che le nostre pensioni dipendono, non solo dai contributi che si versano, ma anche dall’andamento dell’economia italiana. Per chi ha già abbandonato il lavoro, la rendita annuale si rivaluta periodicamente in base all’inflazione. Ma per chi in pensione ci deve ancora andare, le cose stanno un pochino diversamente.

La pensione si determina principalmente partendo dal montante contributivo, cioè la somma dei contributi versati durante la carriera di ciascun lavoratore. E’ anche importante sapere che queste somme di denaro si rivalutano nel tempo in base all’andamento del Pil.

O meglio, ogni anno è applicato un coefficiente di rivalutazione che scaturisce dalla media quinquennale del prodotto interno lordo.

Pensioni sempre più magre per tutti in futuro

Orbene il Pil dell’Italia nell’ultimo decennio è cresciuto in maniera anemica, dello zero vergola, determinando quindi una rivalutazione dei montante contributivo quasi nulla. Colpa della pandemia, più di recente, ma anche di politiche economiche ha hanno visto il nostro Paese crescere molto meno rispetto al secolo scorso.

Il montante contributivo di ciascun lavoratore è rimasto quasi invariato negli ultimi 5 anni – osservano gli esperti – determinando così una base di calcolo della pensione uguale a quella di anni fa. In pratica è come se i soldi accantonati per la pensione fossero stati messi in un congelatore non avendo prodotto alcun tipo di interesse.

Ma il punto dolente non è questo, bensì l’inflazione. Se il costo della vita è cresciuto lo scorso anno dell’8,1% (dati ufficiali Istat), il montante contributivo non si è rivalutato di pari misura. Sappiamo che il Pil nel 2022 è salito del 6,8%. Ma questo solo l’anno scorso. Poiché il dato di riferimento è il quinquennio precedente, la percentuale è di gran lunga minore. A fronte di un tasso di inflazione tangibile molto più alto.

Il calcolo della rendita contributiva

Da ciò ben si comprende come gli importi delle pensioni tendono a scendere a causa dell’erosione in termini nominali del valore del montante contributivo nel tempo.

In pratica diminuisce il tasso di capitalizzazione. Ma questo non è l’unico aspetto che incide negativamente sulle rendite future dei lavoratori. C’è anche il metodo di calcolo contributivo che sta entrando a regime.

Oggi la maggior parte delle pensioni è calcolata con il sistema misto, cioè retributivo e contributivo, in cui la parte retributiva (più vantaggiosa) incide per circa un terzo per chi può vantare 40 anni di versamenti. E ogni anno che passa il sistema retributivo lascia il passo a quello contributivo per un numero maggiore di anni su cui calcolare l’importo della pensione.

Va da sé che le cifre tendono a scendere gradualmente col passare del tempo fino ad arrivare nel 2035 circa quando il sistema di calcolo retributivo non sarà più applicabile a nessun lavoratore e si esaurirà. Allora le rendite saranno calcolate esclusivamente sulla base della contribuzione versata con applicazione sull’intero montante dei rispettivi coefficienti di trasformazione in base all’età.

La combinazione del sistema di calcolo della pensione con il sistema contributivo puro con il montante rivalutato al lumicino, al netto dell’inflazione, darà origine ad assegni sempre più magri.

Riassumendo…

  • Pensioni sempre più basse se l’economia dell’Italia non cresce.
  • Il montante contributivo si rivaluta in base all’andamento quinquennale del Pil italiano.
  • Intanto l’inflazione sale più del Pil.
  • Sul calcolo della rendita influisce anche il sistema di calcolo contributivo.