Si discute tanto di riforma pensioni, di quota 100, di uscite anticipate, ma il problema vero è un altro. Le pensioni future dello Stato saranno sempre più basse. Chi fra 15 anni percepirà 1.000 euro al mese dall’Inps potrà ritenersi fortunato.

Cosa sta succedendo? Sono gli effetti della riforma Dini del 1995 che mettono fine alle pensioni basate sul sistema di calcolo retributivo. Oggi molti lavoratori possono ottenere pensioni mediamente vicine ai due terzi dell’ultimo stipendio solo grazie a questo conteggio.

Pensioni e coefficienti di trasformazione

Ma c’è un altro aspetto, non trascurabile, che incide sul calcolo delle pensioni.

Si tratta del coefficiente di trasformazione. Un numero percentuale, introdotto anch’esso con la riforma Dini, che trasforma appunto i contributi versati dal lavoratore nelle casse pensionistiche (montante contributivo) in pensione.

Questo coefficiente è tanto maggiore quanto più è alta l’età del lavoratore che fa domanda di pensione. I coefficienti di trasformazione vanno quindi da 57 anni a 71 anni e variano di anno in anno in base all’andamento del Pil.

E proprio qui sta il problema, perché se il Pil nazionale non cresce o addirittura va in negativo, come successo con la crisi pandemica, anche i coefficienti di trasformazione scendono e il montante contributivo si rivaluta di meno.

Il taglio alle pensioni

Sicché è evidente che da anni i coefficienti di trasformazione scendono assorbendo le variazioni negative del Pil. In 15 anni, si stima che le pensioni abbiano subito un taglio medio del 15%. In pratica una persona che fosse andata in pensione con lo stesso montante contributivo nel 2006 avrebbe oggi percepito il 15 per cento in più di pensione.

Si tratta di una erosione lenta e continua, quasi impercettibile, ma che sommata al sistema di calcolo misto, sempre meno retributivo e più contributivo, porta al taglio delle pensioni col passare degli anni.

Già nel 2021 il coefficiente di trasformazione ha un taglio.

Ma dal prossimo anno ne subirà un altro, poiché la revisione è biennale e riguarderà il periodo 2022-2023 recependo purtroppo il crollo del Pil del 2020. A meno che il governo non intervenga per congelare le variazioni.

Il crollo del Pil

Posto che la crescita dei Pil italiano sarà negativa o nelle migliori delle ipotesi anemica per i prossimi anni, a quanto potrebbe ammontare la riduzione dell’assegno nei prossimi anni?

Secondo le simulazioni degli esperti, la perdita di rivalutazione del montante nella parte contributiva potrebbe sfiorare il 2,5%, con una perdita potenziale del 1,6% rispetto a quest’anno su una pensione di vecchiaia con 15 anni di contributi versati prima del 1996.

Fatto 1.000 l’importo dell’assegno, si tratterebbe di 16 euro al mese. Ma è evidente che, per effetto delle previsioni di crescita economica negativa a causa della crisi, il passare del tempo non gioca a favore dei futuri pensionati che potranno solo sognare gli assegni percepiti dai loro predecessori.