In tema di pensioni, quota 100 ha ormai i mesi contati. Al suo posto potrebbe subentrare quota 41. Ma di cosa si tratta e quanto costerebbe?

L’ipotesi più gettonata dal governo e dalle forze politiche al lavoro dallo scorso febbraio per riformare il sistema pensionistico italiano nel 2021 prevede l’estensione di quota 41  per tutti i lavoratori per superare lo scalone con la fine di quota 100 (62 anni di età e 38 di contributi).

Verso la fine di quota 100

Andare in pensione con 41 anni di contributi indipendentemente dall’età potrebbe quindi essere la soluzione più idonea per superare lo scalone previsto dalla fine di quota 100 nel 2022.

L’ipotesi, allo studio del Ministro del Lavoro Nunzia Catalfo per riformare il sistema pensionistico e superare la riforma Fornero, ha richiamato anche l’attenzione del presidente dell’Inps Pasquale Tridico. Secondo Tridico, “Quota 41 è certamente un’opzione, ma non mi piacciono le quote strettamente rigide. Dovrebbe essere affiancata acoefficienti di gravosità di lavoro, in modo da prevedere delle uscite flessibili per tutti. Ovvero, si dovrebbe prevedere un’età di uscita dal lavoro per ogni categoria”. Ci sono infatti lavori diversi. Ci sono persone che possono uscire più tardi e altre prima. Tutto il sistema dovrebbe girare attorno al sistema dei coefficienti di gravosità“

Quota 41 per tutti i lavoratori?

Così, una delle soluzioni più accreditate al momento sarebbe quella di estendere quota 41 a tutti i lavoratori. Oggi, in base alla legge in vigore e in alternativa alla pensione di vecchiaia, si può optare per la pensione anticipata con 41 anni di contributi indipendentemente dall’età anagrafica, ma bisogna poter soddisfare determinati requisiti. Il primo è l’appartenenza alla categoria dei lavoratori precoci, cioè a quei lavoratori che hanno versato almeno 12 mesi di contributi prima del compimento dei 19 anni di età. Il secondo è l’appartenenza a una delle categorie svantaggiate previste dalla legge, quali disoccupati, invalidi (al 74%), caregivers, o lavoratori gravosi.

Solo la combinazione di questi tre fattori dà il diritto ad andare in pensione con 41 anni di contributi.

Il superamento della riforma Fornero

Ciò su cui si punta è quindi abolire il requisito del lavoro precoce a l’appartenenza a una categoria di lavoro usurante o gravoso. In questo modo la platea degli aventi diritto alla pensione con 41 anni di contributi si estenderebbe a molti più beneficiari. Del resto 41 anni di contributi versati non sono pochi, ma la misura andrebbe a risolvere il problema dello scalone quando finirà quota 100. Una riforma che andrebbe così a superare quanto previsto al momento dalla pensione anticipata, che permette l’accesso alla pensione indipendentemente dall’età anagrafica al raggiungimento di 42 anni e 10 mesi (per gli uomini) e 41 anni e 10 mesi di contributi (per le donne).

Il problema delle risorse economiche

Il problema, però, riguarda le risorse finanziarie per poter portare avanti una riforma del genere. L’Italia è uno dei Paesi che spende di più al mondo per le pensioni e l’introduzione di quota 41 costerebbe 12 miliardi di euro all’anno a regime, ma con tendenza al ribasso. La spesa previdenziale nazionale sfiora i 300 miliardi all’anno e rappresenta il 16,7% del Pil nazionale. Una percentuale di per sé in linea con quella degli altri paesi Ue, ma condizionata dall’emergenza sanitaria che nei prossimi anni inciderà negativamente sulla crescita economica. Reperire risorse necessarie per adottare quota 41 sarà l’obiettivo principale del governo per far quadrare i conti, altrimenti non sarà possibile riformare le pensioni e la fine di quota 100 comporterebbe l’attivazione dello scalone con le regole previste dalla riforma Fornero.