Per la riforma pensioni 2024 sembra sempre più evidente che ci sarà poco margine di azione. Lo ha fatto capire di recente il Ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti che, parlando al meeting di Rimini, ha dichiarato che la manovra finanziaria sarà complessa. Parlando poi di pensioni, nello specifico, ha aggiunto che coi tassi di natalità attuali nessuna riforma potrà sostenere in futuro il pagamento delle rendite.

Tutte cose note al governo e agli esperti di previdenza. Un po’ meno ai lavoratori che sperano ancora in una politica più morbida da parte dell’esecutivo per evitare il ritorno della Fornero nel 2024.

Si parla in tal senso di Quota 41, ma al momento l’unica speranza è quella della proroga di un altro anno di Quota 103 che prevede appunto 41 anni di contributi, ma associati a 62 anni di età.

Verso una riforma pensioni striminzita

Per il resto, solo chiacchiere. Inutile farsi illusioni, perché la coperta è troppo corta per sperare che il Parlamento modifichi l’attuale assetto pensionistico. Già costa troppo pagare le pensioni e coi ritmi di denatalità attuali il rischio concreto di non riuscire più a pagarle in futuro esiste, anche se non lo si vuole dire.

Cosa c’è da aspettarsi per il 2024 dunque? E’ molto probabile che, vista la necessità di rivalutare ancora energicamente le pensioni a causa dell’inflazione, le risorse disponibili saranno quasi tutte drenate per la perequazione automatica. Qualcosa potrebbe essere destinato a rivedere le uscite anticipate per donne e persone in difficoltà, nel senso di maggiore flessibilità in uscita.

Dopo l’introduzione di pesanti restrizioni per Opzione Donna nel 2023 (le uscite sono letteralmente crollate), è probabile che qualcosa sarà fatto per ridare alle lavoratrici maggiori chances di pensionamento. Soprattutto a coloro che hanno figli, assistono familiari anziani e bisognosi o hanno perso il lavoro.

Opzione Donna confluisce in Ape Sociale?

Con la legge di bilancio 2023 abbiamo visto che i requisiti per andare in pensione con Opzione Donna sono cambiati.

L’uscita è salita a 60 anni per lavoratrici dipendenti e autonome, sempre con 35 anni di contributi. Ma a questi requisiti sono stati associati per la prima volta alcune condizioni speciali da rispettare. E cioè essere caregiver, disoccupate o invalide.

Tutte caratteristiche avvicinano di molto Opzione Donna ad Ape Sociale che prevede il diritto alla pensione anticipata con le stesse caratteristiche sociale, ma a 63 anni. Un passaggio, forse congeniato lo scorso anno dai tecnici del governo, per poi far confluire la misura prevista per le lavoratrici in Ape Sociale che costerebbe meno.

Di fatto, le due misure messe a confronto evidenziano sostanzialmente una differenza di 3 anni nel requisito anagrafico. Il che implica un risparmio di soldi per lo Stato a favore delle lavoratrici che escono con Ape Sociale piuttosto che con Opzione Donna. In altre parole si paga la prestazione per meno tempo.

Il bicchiere mezzo pieno delle pensioni rosa

Cosa potrebbe succedere a questo punto? E’ possibile che Opzione Donna sparisca, cioè non sia rinnovata e che, allo stesso tempo, si faccia passare il taglio come un favore che si farà alle lavoratrici. Queste potranno infatti andare in pensione sfruttando i meccanismi di Ape Sociale che prevede, a differenza di Opzione Donna, la liquidazione della prestazione col metodo retributivo e contributivo con decorrenza dell’assegno dal mese successivo alla domanda.

Non solo. Si farà leva anche sui contributi. Mentre per Opzione Donna servono almeno 35 anni, per Ape Sociale ne bastano 30. Ma anche meno. In presenza di figli si ottiene uno sconto fino a 28 anni.

Riassumendo…

  • Poche risorse disponibili, riforma pensioni difficile secondo il Ministro Giorgetti.
  • Opzione Donna potrebbe terminare la sua corsa a fine anno.
  • Per le lavoratrici resterebbe la possibilità di Ape Sociale, più conveniente per lo Stato