C’era stato il tentativo di Quota 100. Provvisorio, anche se durato almeno qualche anno. Ancora più breve l’esperienza di Quota 102, pensata unicamente per sopperire alla fine della misura precedente senza ricadere nei dettami della Legge Fornero. Eppure, ora che anche la 102 si avvia verso il tramonto (il 31 dicembre 2022), la possibilità che il sistema pensioni italiano torni effettivamente all’impostazione del trattamento decisa dal famigerato decreto legge del 2011 è decisamente alta, per non dire sicura. Se di mezzo non ci fossero statele elezioni, probabilmente si sarebbe discusso ancora di riforma pensioni.

Ma con la tornata elettorale prevista per il 25 settembre, tutto cambia. O meglio, non cambia nulla. La discussione sul futuro delle pensioni italiane si trasferisce sul piano del dibattito politico, quindi delle promesse elettorali per la ventura votazione piuttosto che sui tavoli del Consiglio dei ministri. E, al netto delle strategie pensate per consegnare agli italiani un sistema pensionistico adeguato, la sensazione che si torni indietro è decisamente la più veritiera in questo momento storico.

Legge Fornero, cosa significa il ritorno

Per la precisione, si tornerebbe a un meccanismo tale da spostare in avanti sensibilmente la data del pensionamento. A meno di clamorosi colpi di scena, infatti, a partire dall’1 gennaio 2023 si tornerà al sistema dei 67 anni di età e 20 di contributi versati, oppure dopo 42 anni e 10 mesi di contribuzione (solo uno in meno per le donne). Un sistema che, per la verità, nessuno avrebbe voluto veder tornare in auge, anche pensando agli sforzi fatti per superarlo. Senza contare che, per il 2023, aumenterà anche la spesa pensionistica, con previsione dello 0,7% del Pil, ossia 13 miliardi di euro. Il problema non è tanto la mancata volontà di proporre, da parte delle forze politiche, un nuovo sistema pensioni, quando la difficoltà di attuarlo in poco tempo. Per questo le elezioni risulteranno decisive ma, almeno per ora, non risolutive.

A meno che, come soluzione estrema, non si decida di prorogare Quota 102. Difficile, se non altro perché andrebbe a cristallizzare la spesa delle casse statali senza la possibilità di intervenire a stretto giro per il rischio, serio, di sfasare i costi.

Pensioni, tempi stretti

Stando così le cose, la Legge Fornero appare l’unica pista. Di epoca montiana e col paradosso dell’anticipo con taglio dell’assegno. Tornando in vigore il provvedimento dell’allora ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, Elsa Fornero, si risolverebbe il problema dell’assenza di un sistema pensioni adeguato. Senza risolvere, però, il nodo dell’età avanzata per il pensionamento base. Un tema decisamente scottante che la riproposizione del decreto del 2011, quindi risalente a più di 10 anni fa, riporterebbe in auge. Riproiettando l’Italia su un sistema ormai e invecchiato e, probabilmente, poco adatto alle esigenze lavorative di oggi. Le proposte sul tavolo sono diverse: in primis la Quota 41 della Lega, ossia la possibilità di uscire al quarantunesimo anno di versamenti, a prescindere dall’età anagrafica. Con costi non indifferenti però, nell’ordine di almeno 4 miliardi. Di sicuro c’è solo un fattore: la mancanza di tempo per effettuare una riforma strutturata prima dell’insediamento del nuovo Governo. E anche dopo, chissà…