Per il calcolo della pensione spesso si fa confusione fra contribuzione valida per il diritto e contribuzione valida per la misura. Chi conosce bene la materia lo sa, ma spesso gli assicurati all’Inps non conoscono la differenza, salvo poi ritrovarsi amare sorprese al momento delle domanda di pensionamento.

Capita, infatti, che l’assegno pensionistico risulti inferiore di parecchio rispetto a quanto lavorato. Questo però non dipende dai sistemi di calcolo che l’Inps effettua sul montante contributivo in base alla normativa vigente, ma semplicemente perché il “peso” dei contributi versati è inferiore a quanto realmente accreditato per raggiungere il diritto alla pensione.

I contributi figurativi

Così, i contributi ai fini pensionistici calcolati sul periodo di malattia, cassa integrazione, mobilità, maternità o disoccupazione, ad esempio, concorrono solo alla maturazione del diritto ad andare in pensione secondo le norme vigenti e non anche ad incrementare l’assegno pensionistico. Quest’ultimo viene infatti calcolato solo sulle reali versamenti che il datore di lavoro o il lavoratore autonomo versa durante la vita lavorativa. I contributi figurativi derivanti appunto da periodi di inattività, valgono solo per il diritto e non anche per la misura. Si tratta per l’appunto di periodo assicurativi che vengono accreditati in forma gratuita dallo Stato in assenza, però, di effettivi periodi di versamento da parte del datore di lavoro. I contributi figurativi sono, pertanto, una sorta di copertura “fittizia” (cioè non versati né dal datore di lavoro né dal lavoratore) per periodi in cui si è verificata una interruzione o una riduzione dell’attività lavorativa e di conseguenza non c’è stato il versamento dei contributi obbligatori da parte del datore di lavoro né del lavoratore.

I lavoratori part time

Uno dei casi più frequenti e lampanti che determinano il calcolo dell’assegno pensionistico al raggiungimento dei requisiti per il diritto, è il lavoro part time.

Sempre più diffuso anche in Italia, questo tipo di contratto, sia verticale che orizzontale, comporta a tutti gli effetti una copertura piena della maturazione del diritto alla pensione, ma un trattamento pensionistico inferiore rispetto al lavoratore full time. Per quanto riguarda il diritto alla pensione, l’Inps ha stabilito una contribuzione piena di 52 settimane all’anno solo se il livello retributivo annuale non sia inferiore a 10.670 euro (riferito all’anno 2019). Al di sotto di tale soglia, sarà inferiore il numero di settimane accreditate ai fini del diritto alla pensione. Pertanto, l’anzianità contributiva al di sopra di 10.670 euro di reddito annuo non cambia se il lavoratore è part time o full time. Cambia, invece, la misura del trattamento pensionistico che sarà rapportata ai reali contributi versati dal datore di lavoro e che concorreranno alla formazione del montante contributivo.

Il riscatto del lavoro part time

Detto questo, non tutti sanno che esiste la possibilità di riscattare il periodo part time non lavorato, ma coperto per i periodi contributivi. Per ovviare alla perdita della contribuzione, i periodi di lavoro part-time possono essere riscattati dal 1996 in poi, ai fini della misura del trattamento pensionistico, a condizione che risultino non lavorati e che siano collocati entro il periodo temporale del rapporto di lavoro. A tal fine, è bene controllare la propria posizione contributiva Inps accedendo al fascicolo previdenziale del cittadino e presentare domanda di riscatto online. Ciò vale di più oggi per chi è nel sistema pensionistico puramente contributivo, cioè chi ha iniziato a lavorare dopo il 1995. Per costoro il requisito della pensione di vecchiaia a 67 anni potrà essere soddisfatto solo se la pensione sarà non inferiore a 1,5 volte l’importo dell’assegno sociale, cioè circa 650 euro al mese.