Pensioni future sempre più basse in Italia. L’andamento delle pensioni nel nostro Paese è strettamente legato a quello economico. In un sistema a ripartizione come il nostro le rendite pubbliche sono sostenute dalla crescita del Pil: se questo diminuisce o non cresce secondo le previsioni, le pensioni ne risentono in senso negativo. Da qui le riforme, i tagli, la manovre di bilancio, gli aggiustamenti, ecc.

Dare la colpa solo ed esclusivamente alla diminuzione della natalità o all’invecchiamento della popolazione è sbagliato.

In generale quando l’economia cresce aumentano i contributi previdenziali, le aziende generano maggiori profitti e i lavoratori percepiscono salari più alti. Fattori che si traducono in un aumento dei contributi versati al sistema previdenziale.

Da cosa dipendono le pensioni future

Pertanto se l’economia va bene migliora la sostenibilità del sistema pensionistico grazie all’aumento delle entrate. L’Inps avrà un bilancio più solido e sarà in grado di garantire prestazioni più elevate agli anziani. Aumenta anche la fiducia nel sistema. Crescendo l’economia e migliorando la situazione finanziaria del sistema previdenziale, aumenta la fiducia dei cittadini nel sistema stesso.

Al contrario, se il Pil non cresce o cresce in maniera anemica, la sostenibilità del sistema pensionistico diventa più fragile nel tempo. Nei periodi di stagnazione avviene esattamente il contrario di quanto appena esposto e i governi sono costretti a intervenire tagliando le pensioni con una scusa o con l’altra. Perché tutto dipende dalle entrate contributive che diminuiscono e dalla mancata rivalutazione del montante.

A differenza delle pensioni già in pagamento dove l’importo dell’assegno è rivalutato in base al costo della vita e all’andamento dei prezzi al consumo, per quelle ancora da liquidare il discorso è diverso. Il montante contributivo non rivaluta in base all’andamento dell’inflazione, ma in base al Pil nazionale. Una differenza che incide non poco sull’andamento della pensioni future dei lavoratori.

Soprattutto nel sistema di calcolo contributivo che ormai incide per almeno due terzi sulla liquidazione della pensione. La rivalutazione del montante contributivo è quindi di fondamentale importanza.

Il tasso di capitalizzazione dei contributi

In proposito si parla di tasso di capitalizzazione, fattore che incide sull’entità dell’importo della pensione. Vediamo bene come funziona. Il capitale accantonato (montante contributivo) presso le gestione pensionistica costituisce la base sopra la quale l’ente pensionistico calcola e liquida la pensione. E’ un po’ come un salvadanaio, un libretto di risparmio, garantito dallo Stato.

Il montante contributivo si calcola quindi come la somma dell’ammontare dei contributi di ciascun anno. E’ rivalutato annualmente sulla base del tasso di capitalizzazione risultante dalla variazione media quinquennale del Pil. Va da sé che se il Pil cresce poco o non cresce proprio anche i contributi non rivalutano.

Non solo. Il calcolo deve essere fatto tenendo conto dell’inflazione che, viceversa, cresce più dell’economia reale. Pertanto, in termini nominali, i contributi versati si deprezzano col tempo e la pensione che ne uscirà al momento della domanda sarà minore di quanto preventivato. Diverso sarebbe se il montante contributivo fosse indicizzato all’indice dei prezzi al consumo o al tasso d’interesse della Bce. Ma non è così.

Considerato che il Pil negli ultimi 20 anni è cresciuto mediamente meno dell’inflazione, ben si può immaginare l’erosione del valore nominale della pensione nel tempo. Anche se, poi, gli assegni vengono rivalutati periodicamente in base all’inflazione, la perdita di potere di acquisto sui contributi versati è ampia.

Riassumendo…

  • Le pensioni dei lavoratori sono legate anche all’andamento dell’economia
  • Se il Pil non cresce anche le rendite diminuiscono.
  • L’inflazione erode i contributi versati dai lavoratori e la pensione diminuisce