Un luogo comune in materia previdenziale è che la pensione di vecchiaia si centra con 67 anni di età e 20 anni di contributi versati. Un luogo comune significa che è una cosa in cui molti credono, ma che effettivamente non è così. In effetti l’età pensionabile è proprio quella dei 67 anni di età. Questa vale per le donne, per gli uomini, per lavoratori dipendenti e per lavoratori autonomi e pure per l’assegno sociale.

Ormai si viaggia spediti verso il sistema contributivo e presto nessun lavoratore riuscirà ad andare in pensione godendo, anche se in parte, del miglior trattamento offerto dal sistema retributivo.

Questo significa una cosa, e cioè che la vera età pensionabile non è fissata a 67 anni, bensì a 71. E molti lavoratori già oggi si rendono conto di questo epocale passaggio.

“Salve, sono Rodolfo e sono un vostro assiduo lettore di Roma. Vi chiedo una mano, perché sono distrutto moralmente dalle notizie che mi ha dato il mio Patronato relativamente alla mia pensione. Compio 67 anni di età nel 2024 e completerà l’anno prossimo 24 anni di contributi. Credevo di poter andare in pensione nel 2024, invece mi hanno già avvisato che per me non ci saranno possibilità. Perché a me la pensione la daranno solo a 71 anni e forse dopo. Una cosa assurda questa. Ma perché se dicono che l’età pensionabile è a 67 anni a me tocca invece a 71?”

Le due più importanti riforme delle pensioni

Dal punto di vista previdenziale dal 1996 è cambiato molto e forse ancora di più rispetto a ciò che cambiò nel 2012. Il 1996 ed il 2012 dono due anni fondamentali quando si parla di pensioni. Perché si tratta dei due anni in cui sono entrate in vigore le due più importanti riforme del sistema mai varate. Il 1996 è l’anno di ingresso del sistema contributivo con la riforma Dini. Il 2012 è invece l’anno di entrata i vigore della riforma Fornero.

Quest’ultima ha inasprito i requisiti per le pensioni, causando non pochi problemi e allontanando di molto le pensioni dai lavoratori.

Ma la riforma Dini cambiò le regole di calcolo delle pensioni, e di conseguenza anche alcune regole di pensionamento. Oggi si parla di superare la riforma Fornero, ma nessuno cita la riforma Dini come una cosa che ha di molto peggiorato la situazione per i contribuenti. E non parliamo solo di calcolo degli assegni previdenziali.

La fase transitoria è ancora in atto

Oggi possiamo anche affermare che si vive in una fase di transizione tra il sistema retributivo e quello contributivo. I lavoratori oggi possono andare in pensione godendo del sistema misto. Infatti chi ha iniziato a lavorare prima del 1996, è naturale che ha dei periodi di lavoro che rientrano nel sistema retributivo e la riforma Dini non ha certo lavorato a ritroso, cancellando quello che a tutti gli effetti era un diritto dei contribuenti.

I periodi antecedenti il 1996 ancora oggi vengono trattati dal punto di vista pensionistico con il sistema retributivo. Quelli successivi invece con il sistema contributivo, essendo dentro il periodo successivo all’ingresso della riforma contributiva Dini. Ma chi ha in dote almeno 18 anni di periodi coperti da contribuzione prima del 1° gennaio 1996, ha diritto al calcolo retributivo fino al 2012.

Ecco perché il sistema retributivo è più vantaggioso

Perché è importante questa differenza? perché il sistema contributivo calcola la pensione esclusivamente sull’ammontare dei contributi versati nel montante, che poi vengono rivalutati ai tassi di inflazione degli anni successivi al versamento e trasformati in rendita per ilo tramite dei cosiddetti coefficienti di trasformazione. Il sistema retributivo invece calcola la pensione in base alle ultime annualità di stipendio. E notoriamente questo sistema è migliore rispetto al sistema contributivo. Perché le pensioni che ne fuoriescono sono più alte di importo.

Pensioni: ecco i lavoratori che non vanno in pensione prima dei 71 anni

Oltre che come importi delle pensioni ed eventuali aumenti, il sistema contributivo presenta anche delle differenze come misure pensionistiche da sfruttare. Perché, per esempio, la pensione di vecchiaia a 67 anni non è sicura come lo è per chi ha iniziato a lavorare prima del 1996 e rientra nel sistema misto. Ed è ciò che crediamo sia accaduto al nostro lettore. Una cosa ormai comune questa, e lo sarà sempre di più. Perché man mano che passano gli anni, sono sempre meno i lavoratori che hanno carriere iniziate nel retributivo. Presto non ci sarà più sistema misto, perché andranno in pensione solo quelli che hanno iniziato a lavorare dopo il 1996.

E per tutti la pensione di vecchiaia, come per il nostro lettore, si prenderà a 67 anni, sempre con 20 anni di contributi, ma solo se la pensione è di importo pari o superiore a 1,5 volte l’assegno sociale valido nell’anno di completamento dei requisiti per la quiescenza di vecchiaia. Secondo noi il nostro lettore non raggiunge l’importo minimo che nel 2024 sarà presumibilmente di circa 800 euro. Infatti oggi l’assegno sociale è pari a 503,27 euro, ma nel 2024, che è l’anno di compimento dei requisiti del lettore, dovrebbe salire ad oltre 530 euro.

Pensione a 71 anni, presto lo sarà per tutti?

Presto quindi non ci saranno alternative alle pensioni di vecchiaia contributive. Significa che un lavoratore non potrà accedere alla pensione di vecchiaia se non raggiunge l’importo minimo della pensione. Una pensione che tra l’altro nel sistema contributivo non prevede integrazioni al trattamento minimo e nemmeno le maggiorazioni. Chi non ha carriere lunghe e contributi sufficienti per andare a centrare un importo della pensione già nel 2024 come quello citato, non potrà fare altro che restare a lavorare. Perché la pensione scatta a 71 anni.

Questa è l’età pensionabile effettivamente valida per il sistema contributivo. Perché a quella età non conta la pensione raggiunta, come oggi non conta per i contribuenti del sistema misto.

A 71 anni bastano solo 5 anni di contributi per l’accesso alla quiescenza.

L’importanza della carriera diventa fondamentale nel sistema pensioni contributivo

In pratica, presto tutti per andare in pensione dovranno avere delle carriere lavorative particolari. Serviranno carriere lunghe o in alternativa, carriere corte ma con contributi elevati. L’importanza della carriera diventa fondamentale nel sistema pensioni contributivo, molto di più che nel sistema retributivo. E questo sarà importante nel futuro, perché altrimenti non ci saranno alternative per molti alla pensione a 71 anni.

Nemmeno l’assegno sociale, che come tutti sanno anche se non prevede contribuzione alcuna, ha dei limiti reddituali da rispettare annualmente per poter essere percepito. Quindi, parlare di inasprimento dei requisiti per il futuro non è certo esercizio azzardato. Anche perché probabilmente presto i 71 anni non basteranno più e saliranno per via dell’aspettativa di vita. Il nostro lettore che dovrebbe completare il tutto per il 2028, potrebbe già subire un inasprimento di 2 mesi per il biennio 2027-2028.