Sono tempi difficili per i lavoratori che pensano alla loro pensione futura. Perché il sistema previdenziale ha la necessità di essere riformato, ma con le difficoltà per il Governo che tutti conoscono per varare una vera riforma delle pensioni. A oggi, escludendo le voci attendibili che danno come in lavorazione la proroga di alcune misure previdenziali in scadenza a fine 2023, e quelle meno attendibili che danno come probabile la quota 41 per tutti oppure la flessibilità a 62 anni, le certezze sono poche.

E quelle poche sono tutte negative per i lavoratori. A tal punto che anche i sindacati hanno, a margine del recente summit con il Governo, gridato al pericolo di un ritorno in pieno alle regole della riforma Fornero.

Possibile parlare di nuovi esodati senza riforma delle pensioni e senza proroga di quota 103?

In termini pratici, lo scenario peggiore, che è quello dell’immobilismo totale del governo in materia pensionistica, rischia di causare una perdita netta in termini di anni di pensione per molti lavoratori.

“Buonasera, volevo un vostro parere su quello che ci aspetterà dal 2024 in materia pensionistica. Io personalmente sto correndo il rischio di diventare una specie di nuovo esodato. Infatti ho completato il 30 aprile i miei 40 anni di lavoro con contribuzione piena. Non avendo svolto il servizio militare, e avendo solo qualche settimana di malattia, i miei contributi sono tutti da lavoro. Compio 62 anni di età a novembre e per un solo anno perdo la quota 103. Altrimenti me ne sarei andato in pensione subito.

Da quanto ho capito, il 2024 non è certo di avere una misura come la quota 103. E se arrivo ad aprile 2024 lavorando ancora, non è certo che con 41 anni di contributi posso andare in pensione. Il problema grosso è che il mio datore di lavoro chiuderà i battenti, andando lui sì in pensione, nel 2024. Io resterei senza lavoro e pure senza pensione.

E dopo anni di lavoro non voglio passare alla NASPI, dal momento che non ho mai macchiato il mio estratto conto con periodi di contribuzione figurativa (tranne quelle poche settimane di malattia).”

Le difficoltà del Governo nel varare una riforma delle pensioni sono evidenti

Il caso del nostro lettore è emblematico e anche se può sembrare un caso limite, rischia di diventare abbastanza comune l’anno venturo. Soprattutto se ciò che è adesso, resterà tale a dicembre. Perché a oggi Opzione donna, l’Ape sociale e quota 103, cioè le misure di pensionamento anticipato alternative a quelle ordinarie, scadono il 31 dicembre prossimo. E nonostante le voci sulla loro proroga, la certezza manca ancora. Se si pensa che il Governo attuale è stato costretto a prorogare nel 2023 Opzione donna, tagliando di netto la platea delle potenziali beneficiarie, è evidente che l’esecutivo si muove su una strada che definire in salita è un esercizio di puro eufemismo.

Se neanche Opzione donna è stata rinnovata in maniera classica, ma limitata come perimetro di applicazione, significa che i soldi latitano. Perché Opzione donna forse è l’unica misura che per lo Stato costa poco. Perché il costo dell’anticipo ricade quasi tutto sulle lavoratrici optanti. Una naturale conseguenza questa del ricalcolo contributivo della prestazione, a cui le lavoratrici sono assoggettate, come una specie di sacrificio sull’altare della pensione in anticipo.

La verità che nessuno dice sulle pensioni, ecco chi dal 2024 perderà fino a 5 anni di pensione

Sarà azzardato parlare di esodati, ma approfondendo la situazione in cui si verranno a trovare alcuni lavoratori nel 2024, parlare di problema non è una cosa assurda, anzi. Infatti se davvero non ci sarà la possibilità di prorogare le misure in scadenza il 31 dicembre prossimo, molti resteranno dentro il famoso scalone di cui tanto si parlò quando da rinnovare era quota 100. Oggi con la quota 103 sono andati in pensione, o ci andranno presto, coloro i quali hanno 62 anni di età e 41 anni di contributi.

Una possibilità di anticipare la quiescenza ad appannaggio pertanto di soggetti nati fino al 1961.

Per chi, anche a fronte di una carriera di questo genere, non ha la possibilità di completare il suo sessantaduesimo anno di età entro la fine del 2023, ecco che lo scalone non è una cosa da non considerare. E il nostro lavoratore ne è un tipico esempio. Infatti, perdendo il treno di quota 103, ci sarà chi, nato nel 1962, dovrà per forza di cose lavorare fino al 2025. Così da arrivare alla soglia dei 42 anni e 10 mesi utili alla pensione anticipata ordinaria. Ma se il lavoro non c’è più, il guaio si amplifica. Perché si passerà a dover attendere, senza pensione e senza stipendio, i 67 anni di età. In quel caso, completando l’età pensionabile per la quiescenza di vecchiaia, il lavoratore finalmente entrerebbe nel mondo del pensionamento.

Quota 103 cristallizzata, l’Ape sociale no, ed è un problema aggiuntivo

La differenza tra un nato nel 1961 uscito con la quota 103, e un nato nel 1962 che non ha potuto sfruttare la misura, può arrivare a 5 anni quindi. Ben 5 anni di differenza in termini di uscita per la pensione. Parlare di scalone non è esercizio azzardato. Ecco perché molti auspicano un cambio di rotta, magari verso la quota 41 per tutti senza limiti di età. Oppure rinnovando almeno per un altro anno la quota 103. Ma con all’orizzonte il passaggio alla già citata quota 41 per tutti. Non di 5 anni ma di 4 sarebbe, invece, lo scalone che produrrebbe una mancata proroga dell’Ape sociale nel 2024. Con in più un problema aggiuntivo. Perché a differenza della quota 103, l’Ape sociale non cristallizza il diritto.

In pratica, chi quest’anno, pur rientrando nel potenziale beneficio della pensione a 63 anni con 30, 32 o 36 anni di contributi, non sale a bordo di questa opportunità, non potrà sfruttarla l’anno venturo.

Chi invece quest’anno ha completato i 62 anni di età e i 41 anni di contributi, potrà invece rimandare la quiescenza anche al 2024. E a prescindere che quota 103 sarà rinnovata o meno per ulteriori 12 mesi.