La normativa pensionistica attuale prevede l’adeguamento della speranza di vita in modo indistinto per tutti i lavoratori, dai manager agli operai.   Due ricercatori del Ministero del Tesoro, però, hanno condotto uno studio mettendo nero su bianco le criticità della normativa pensionistica e specificando che l’applicazione della speranza di vita dovrebbe essere diversa in base oltre alle componenti socio economiche del lavoratore anche in base alle mansioni svolte e al tipo di lavoro. Nello studio la prima differenza evidenziata che andrebbe fatta valere nell’applicazione della speranza di vita è il sesso poichè, a quanto sembra, gli uomini sono più svantaggiati e avrebbero una speranza di vita più breve rispetto alle donne.

Un altro componente che aumenta la possibilità di avere una vita più breve del 23% è costituito dalla povertà: i soggetti con meno reddito, infatti, hanno un accesso più limitato alle cure mediche ma anche alle azioni preventive.   A parità di condizione hanno un’aspettativa di vita maggiore le persone che hanno una famiglia stabile rispetto ai single, e il miglioramento è, addirittura del 30%. Questo è facilmente spiegabile con il fatti che nel contesto sociale del nostro paese la famiglia gioca un ruolo cruciale e garantisce, oltre un certo livello di protezione, anche un supporto complementare molto simile a quello del welfare state.   Un’altra caratteristica che evidenzia una diversa speranza di vita è il lavoro: un contratto a tempo indeterminato (quindi un lavoro stabile) offre una condizione protettiva maggiore poichè una carriera non stabile fa ridurre considerevolmente la speranza di vita.   A parità di mansioni, risulta dallo studio, un’impiego nella pubblica amministrazione risulta quello che garantisce un’aspettativa di vita più lunga.   Ma quali sono i settori dove l’aspettativa di vita è minore? Ponendo come 1 l’unità di misura di riferimento, i valori superiori all’unità indicano la maggiore probabilità di una speranza di vita minore.
Gli impiegati nel settore commercio hanno una aspettativa di vita pari a 1,666 mentre coloro che sono impiegati nel settore pesca, agricolutra e caccia hanno l’aspettativa di vita minore in assoluto, pari a 3,012.   Gli impiegati nel settore costruzioni hanno una stima di vita pari a 1,804, gli intermediari finanziari la cui componente di stress è relativamente alta, hanno una stima di vita pari a 2,561, gli impiegati dell’industria estrattiva, settore in cui i lavoratori sono a contatti con solventi e prodotti pericolosi, la stima di vita si riduce a 2,271 mentre per gli impiegati nei trasporti pari a 1,447. Ad avere una buona aspettativa di vita sono gli intermediari immobiliari, unica professione che risulta più protettiva del pubblico impiego, che hanno una speranza di vita pari a 0,44.   I manager e i dirigenti hanno un’aspettativa di vita pari a 1,04, di molto simile a quella di coloro che effettuano attività discontinue che ce l’hanno pari a 1,008.