Le donne sono nettamente più favorite degli uomini in fatto di pensioni. Generalmente escono prima dal lavoro e campano più a lungo per cui godono della rendita pubblica per più tempo. Che poi questa sia più bassa rispetto a quella degli uomini è un altro discorso.

Sia in passato che oggi, le lavoratrici hanno sempre potuto godere di una corsia preferenziale per andare in pensione. Dagli sconti sull’età pensionabile alle deroghe sui requisiti, non c’è paragone con l’altro sesso.

Si pensi anche solo a Opzione Donna.

Donne in pensione prima degli uomini

Certo, alla fine salta fuori che le donne percepiscono pensioni mediamente inferiori del 30% rispetto agli uomini. Ma questo è solo il risultato delle uscite anticipate che la legge ha finora riservato loro. Anche perché i contributi versati maturano per tutti nella stessa misura, senza distinzione di sesso.

In particolare, la differenza di importo pensione fra uomini e donne è dovuta a Opzione Donna. Questa prerogativa, riservata anni alle lavoratrici da anni, prevede l’accesso alla pensione già a 58 anni con almeno 35 di contributi con il sistema di calcolo interamente contributivo.

L’importo della pensione a 58 anni non può certo essere che bassa. Ne consegue che gli importi delle pensioni delle lavoratrici sono di molto inferiori a quelli degli uomini. Per scelta, non certo per imposizione.

Gli assegni delle donne sono più bassi

Secondo i dati dell’Osservatorio Inps sui flussi di pensionamento appena pubblicati, nel 2022 l’assegno medio è stato di 1.153 euro (comprese vecchiaia, anticipate, invalidità e superstiti). Per gli uomini la pensione è stata di 1.381 euro, per le donne di 976 euro al mese.

Divario che si amplia per i lavoratori dipendenti con gli uomini che, grazie a carriere più lunghe e a retribuzioni più alte per anzianità, sono usciti in media con un assegno di vecchiaia quasi doppio delle donne (1.440 contro 754 euro).

Letti così questi dati suonano a sfavore del gentil sesso ed evidenziano un problema di sistema che in realtà non c’è, come sottolinea l’ufficio studi di Itinerari Previdenziali. In Italia vige la parità dei diritti e dei trattamenti. Quindi, nessun divario alla base.

Certo, se una lavoratrice versa meno contributi rispetto a un lavoratore, poi i risultati alla fine si notano. Le disuguaglianze che caratterizzano la carriera lavorativa hanno quindi ripercussioni sulle prestazioni pensionistiche finali.

L’atro fattore che determina il divario, ma che non viene evidenziato, è che nei dati delle pensioni sono incluse anche le prestazioni ai superstiti. Queste sono destinate per la maggior parte dei casi alle donne (vedove) e sono ridotte come minimo del 60%.