I pensionati non hanno digerito il taglio delle rivalutazioni degli assegni dello scorso anno e fanno causa allo Stato. O almeno, ci provano. Ad aprire le danze è il sindacato dei dirigenti (Cida) che si è affidato allo studio legale Bonelli Erede per avviare le procedure giudiziarie necessarie affinché il Giudice avvii la questione di legittimità innanzi alla Corte Costituzionale.

Materia del contendere è il taglio della perequazione automatica adottata dalla legge di bilancio dello scorso anno. Sostanzialmente la norma prevede una riduzione percentuale della rivalutazione annuale delle pensioni in base al reddito.

Più specificatamente per gli assegni, il cui importo supera 4 volte il trattamento minimo, cioè 2.100 euro al mese, si applicano automaticamente dei tagli lineari.

Rivalutazione delle pensioni nel mirino della Consulta

Obiettivo dei dirigenti, cioè coloro che godono notoriamente di pensioni alte e sono più coinvolti, è quello di ottenere giustizia contro il mancato adeguamento delle pensioni all’inflazione. Come noto, l’incremento degli assegni stabilito dal Ministro dell’Economia e delle Finanze Giancarlo Giorgetti è stato determinato nella misura del 8,1% (7,3% in acconto e 0,8% a saldo) per il 2023.

La rivalutazione coì stabilita, però, è piena solo per le pensioni fino a 2.101,52 euro al mese. Oltre tale importo scattano i tagli. O meglio, l’adeguamento della pensione al costo della vita scende in proporzione all’importo della rendita fino ad arrivare a una penalizzazione del 50% per gli assegni sopra i 5.000 euro al mese. Soldi che lo Stato risparmia sottraendoli indebitamente ai beneficiari.

Per il Cida non ci sono dubbi: la norma è anticostituzionale perché discrimina i pensionati e lede un sacro santo diritto sancito dalla nostra Costituzione. Tutte le pensioni, per le quali sono stati versati i contributi in proporzione al reddito, devono essere adeguate allo stesso modo altrimenti vi è discriminazione.

La nuova perequazione automatica

Ma veniamo alle modifiche apportate dal Parlamento nel 2023. Sostanzialmente sono state introdotte 6 fasce di rivalutazione alle quali l’Inps si è adeguato recependo le disposizioni di legge contenute nella finanziaria.

Da qui le prime lettere di diffida all’Inps da parte dei pensionati. In sintesi, le nuove fasce di rivalutazione delle pensioni, valide anche per il 2024, prevedono incrementi decrescenti in base al livello della pensione:

  • 100% fino a 4 volte il trattamento minimo;
  • 85% da 4 a 5 volte il trattamento minimo;
  • 53% da 5 a 6 volte il trattamento minimo;
  • 47% da 6 a 8 volte il trattamento minimo;
  • 37% da 8 a 10 volte il trattamento minimo;
  • 32% oltre le 10 volte il trattamento minimo.

La riforma riguarda il biennio 2023-2024, ma produrrà effetti anche negli anni a venire. La mancata rivalutazione piena delle pensioni medio-alte – spiegano gli esperti – ridimensiona la base di calcolo in partenza sulla quale si adeguano poi le pensioni negli anni a venire.

Pertanto, il taglio alle pensioni ha un peso decisamente più importante per via dell’effetto trascinamento dei tagli iniziali nel tempo. Tanto più grave quanto maggiore è l’importo della pensione in pagamento. Il che determina una perdita sostanziale del potere di acquisto ben superiore alla differenza col mancato adeguamento della rendita all’inflazione.

L’obiettivo della Cida è quello di “spingere il governo ad adottare provvedimenti strutturali e lungimiranti. Lo Stato ha risparmiato in totale circa 40 miliardi. Con l’impatto dei tagli che dovrebbe scattare nel 2024 il conto aumenterebbe di altri 20.

Riassumendo…

  • I dirigenti sollevano la problematica dei tagli delle rivalutazioni delle pensioni innanzi al Giudice.
  • Si chiede l’intervento della Corte Costituzionale per palese violazione di diritti acquisiti.
  • Le nuove fasce di rivalutazione delle pensioni 2023-2024 sono ritenute anticostituzionali dai dirigenti.