Il periodo delle pensioni anticipate sta per finire. La fine di Quota 102 e l’arrivo di Quota 103 con limitazioni segna il passo. Così come il taglio drastico dei requisiti per accedere a Opzione Donna che probabilmente cesserà del tutto il prossimo anno.

Gli interventi del Governo Meloni non sono all’acqua di rose. Ma si sapeva: Di fronte a una spesa previdenziale che rischia di andare fuori controllo e ai continui allarmi lanciati dall’Inps sui conti pubblici c’è poco da scherzare.

Lo sanno anche i sindacati e pure la Lega che spinge sempre per Quota 41.

Pensioni anticipate in calo

Gli effetti dei primi interventi del governo con la Legge di bilancio 2023 si stanno facendo sentire. Nei primi tre mesi del 2023 – secondo i dati Inps – sono state liquidate 174.610 pensioni con decorrenza nel trimestre con un calo del 26,22% rispetto allo stesso periodo del 2022.

Nel dettaglio, al 31 marzo 2023, si è registrato un calo più consistente per le pensioni anticipate rispetto all’età di vecchiaia con 51.583 assegni a fronte dei 83.153 del primo trimestre 2022 (-38%). Dati che potranno solo essere confermati nei trimestre successivi.

A pesare sui numeri sono sostanzialmente le uscite anticipate di Opzione Donna, ridotte al lumicino. Ma anche quelle di Quota 103 che prevedono (novità rispetto a Quota 102) la limitazione dell’importo della pensione a 5 volte il trattamento minimo. Cosa fa desistere molti lavoratori dal considerare la possibilità di andare in pensione a 62 anni di età.

Quota 41, specchietto per le allodole

In questo contesto balza all’attenzione l’inossidabile proposta della Lega di mandare tutti in pensione con 41 anni di contributi indipendentemente dall’età. Idea che ha già suscitato malumori all’interno della maggioranza di governo, vista l’onerosità dei costi da mettere a bilancio.

Un passo francamente irrealizzabile vista la spesa da sostenere per la rivalutazione delle pensioni a causa dell’impennata dell’inflazione.

Per poter portare avanti il progetto di Quota 41 – sostengono gli esperti – servirebbero profondi tagli agli assegni. Ma soprattutto che vi sia un maggiore gettito contributivo alla base per sostenere lo sforzo. E non c’è, dal momento che l’occupazione non si sta riprendendo come previsto.

Quota 41, quindi, rischia di rimanere un mero progetto sulla carta. Oltretutto andare in pensione con 41 anni di contributi indipendentemente dall’età non produrrebbe particolari vantaggi sociali. Già oggi si può uscire dal lavoro 1-2 anni e 10 mesi più tardi, come previsto dalle regole ordinarie Fornero.

Del resto, non è con le uscite anticipate di 1-2 anni che si possono liberare posti di lavoro. Lo dimostra il fallimento di Quota 100, in questo senso, che prevedeva l’uscita anticipata ben 5 anni prima della pensione di vecchiaia. Solo un lavoratore su tre – dice l’Inps, dati alla mano – ha partecipato al turnover.