Basta con le pensioni anticipate. Sono state la rovina dell’Italia. Se oggi ci troviamo con un sistema pensionistico al limite del collasso è tutta colpa degli anticipi erogati con tanta leggerezza in passato.

Così tuona Alberto Brambilla, massimo esperto di previdenza e presidente di Itinerari Previdenziali in una recente disanima che illustrerà a breve in Senato. Se oggi i giovani devono lavorare di più è solo colpa di chi ha permesso di andare in pensione troppo presto in passato.

I disastri del passato che paghiamo oggi

Lo scempio sulle pensioni si è consumato nel ventennio che va dagli anni 70 agli anni 90 – fa notare Brambilla – nel report elaborato dal Centro Studi e Ricerche di Itinerari Previdenziali.

Schiere di lavoratori mandati in quiescenza in età giovani in seguito a norme che, tra il 1965 e il 1997, hanno permesso a lavoratrici statali sposate e con figli di andare in pensione dopo 14 anni 6 mesi e 1 giorno di servizio utile”.

Ma per gli altri il diritto alla pensione scattava con 19 anni, 6 mesi e 1 giorno di lavoro. Per i dipendenti degli enti locali, dopo 25 anni di lavoro. E questi sono solo i casi estremi. Le pensioni di anzianità fino al 1981 erano concesse al raggiungimento dei 50 anni.

Di conseguenza, i prepensionamenti – dice Brambilla – sono stati usati come ammortizzatori sociali e gli oneri relativi sono stati scaricati sul “conto pensioni”. Così oggi sono ancora in pagamento 476 mila pensioni la cui durata media è di 46 anni per il settore privato e 44 per quello pubblico. A fronte di una prestazione che per restare in equilibrio non dovrebbe superare i 20-25 anni di durata.

Pensioni anticipate, verso la stretta

Logico pensare che il governo Draghi cercherà di tagliare il più possibile le pensioni anticipate. In Italia, grazie alle varie deroghe alla legge Fornero del 2012, si va ancora in pensione mediamente prima che nel resto dei Paesi Ocse.

A 62 anni e mezzo contro i 65 degli altri Stati.

Consentire ancora di lasciare il lavoro prima dei 60 anni è ormai un fatto diventato anomalo a fronte di un allungamento delle aspettative di vita che si sono raggiunte. Così Opzione Donna e le anzianità dei militari (entrambi in pensione a 58 anni con 35 di contributi) sono entrate nel mirino della riforma e destinate a cambiare.

Dal 2023 è probabile che spariranno o verranno adeguate alle uscite previste oggi per Ape Sociale o Quota 102 (in pensione a 64 anni).