E’ partito il tavolo negoziale della riforma pensioni fra governo e sindacati. Ma il percorso appare tutt’altro che privo di insidie e trabocchetti. La linea tracciata dal premier Draghi lascia pochi spazi di manovra.

Tutto ruota intorno al diktat che la riforma pensioni dovrà essere sostenibile finanziariamente. Il che vuol dire, secondo l’esecutivo, che non si possono più fare cambiamenti ricorrendo al debito pubblico.

Pensioni a 60 anni o con 40 di contributi

Non sono ovviamente d’accordo i sindacati che pensano di poter ottenere qualcosa in più dal confronto con il governo.

Se da un lato le pensioni anticipate costano troppo al sistema previdenziale, dall’altra le regole Fornero sono del tutto inadeguate.

Anche quota 102, dopo la fine di quota 100, sembra più uno specchietto per le allodole che non una vera e propria riforma pensioni. Riguarda solo poche migliaia di lavoratori e dura giusto un anno.

Così, fra le varie alternative in ballo, avanza anche l’idea semplice di poter mandare in pensione i lavoratori a 60 anni o con 40 di contributi. Ad avanzare l’ipotesi è Rifondazione Comunista che recentemente hanno raccolto firme per sostenere la proposta.

Per le donne, via dal lavoro a 55 anni

Per le donne si potrebbe profilare l’idea di uscire dal lavoro a 55 anni o con 35 di contributi. 5 anni in meno rispetto agli uomini. E che le pensioni sotto i mille euro scompaiano una volta per tutte.

Detta così, la proposta potrebbe risultare strampalata, ma di fatto è la soluzione che metterebbe tutti d’accordo sulle pensioni anticipate. Opzione Donna già prevede l’uscita dal lavoro a 58-59 anni con 35 di contributi.

Resterebbe da estendere il meccanismo anche agli uomini così da poter liberare anzitempo posti di lavoro. Ovviamente il calcolo delle pensioni sarebbe penalizzante, ma non più di tanto perché più passa il tempo e meno peso avrà il sistema di calcolo retributivo sull’ammontare di contributi versati.

Alla lunga, in ogni caso, l’importo medio delle pensioni scenderà. Fra 12 anni il sistema di calcolo degli assegni sarà interamente contributivo e quindi meno oneroso per lo Stato. Che potrebbe quindi considerare anche un innalzamento delle pensioni per i giovani, sprovvisti di tutele minime previdenziali.