Chi matura quest’anno il diritto ad andare in pensione con Quota 103 sarà penalizzato. La legge di bilancio ha infatti introdotto il sistema di calcolo interamente contributivo per chi intende fruire dell’uscita anticipata a 62 anni di età con almeno 41 di contributi. Si rischia di perdere una bella fetta dell’assegno dopo tanti anni di sacrifici.

Cosa fare allora? E’ chiaro che a 62 anni si può andare in pensione solo con Quota 103, posto che il requisito contributivo sia rispettato. Tuttavia è bene guardare anche oltre e vedere quali misure alternative ci sono.

Una di queste è quella che permette, per chi matura il diritto ad andare in pensione anticipata, di rinunciarvi continuando a lavorare con stipendio maggiorato.

Perché vale la pena rinunciare alla pensione con Quota 103

Quindi, la ragione principale che potrebbe spingere il lavoratore a rinunciare a Quota 103 è l’importo ridotto della pensione derivante dal ricalcolo contributivo. Un po’ come avviene per Opzione Donna. Non solo. Quota 103 – ricordiamo – prevede anche una soglia limite pari a 4 volte l’importo del trattamento minimo (2.459 euro). In altre parole, la pensione è pagata fino a tale cifra fino al compimento dei 67 anni. Poi diventa libera.

Il legislatore ha voluto disincentivare le uscite anticipate con Quota 103 abbassando il tetto massimo di pagamento. Fino allo scorso anno era più alto, apri a 5 volte l’importo del trattamento minimo. Una misura che dovrebbe ridurre ulteriormente la platea dei beneficiari che sono circa 40 mila lavoratori per il 2024.

In alternativa, chi rinuncia ad andare in pensione con Quota 103, se lavoratore dipendente pubblico o privato, può chiedere al proprio datore l’attivazione del bonus Maroni. Un incentivo che porta il nome dell’ex ministro al Lavoro Roberto Maroni e risalente al 2004, poi interrotto tre anni più tardi.

In breve, la normativa prevede che sia concessa la possibilità di posticipare la pensione per gli aventi diritto a Quota 103 in cambio di un bonus in busta paga.

Un incremento dello stipendio che ha dei risvolti positivi nell’immediato, ma anche negativi sulla rendita futura. Vediamo bene di che si tratta.

L’incentivo a restare al lavoro

Nello specifico, il bonus Maroni è riconosciuto solo ai lavoratori dipendenti che maturano i requisiti per andare in pensione con Quota 103 entro la fine dell’anno. Ma come funziona e quanto vale? In realtà lo Stato non aggiunge nulla, ma solo gira i contributi obbligatori a carico del lavoratore e dovuti all’ente pensionistico direttamente in busta paga.

Ne consegue uno sgravio contributivo che si trasforma in retribuzione. In percentuale, ricordiamo che la contribuzione di pertinenza è del 9,19%. Soldi che non finiranno più sul conto assicurativo pensionistico, ma nella retribuzione che quindi aumenterà. Chi matura i requisiti per la Quota 103 ha quindi il diritto di restare al lavoro rinunciando all’accredito per fini pensionistici della quota dei contributi a proprio carico.

Lo svantaggio principale è quindi legato a una pensione futura meno ricca. Fra gli altri svantaggi vi è da considerare la maggiore imposizione fiscale. Aumentando il reddito del lavoratore per effetto del bonus Maroni, anche il prelievo Irpef cambia perché si guadagna di più. Il rischio è che ci si ritrovi una busta paga più alta ma tassata con una aliquota maggiore (dipende dagli scaglioni di reddito).

Riassumendo…

  • In alcuni casi rinunciare a Quota 103 può essere vantaggioso per il lavoratore.
  • Il calcolo della pensione da quest’anno avviene col sistema contributivo.
  • I dipendenti che rinunciano a Quota 103 possono beneficiare del bonus Maroni.