Dalla piena attività alla pensione, con la consapevolezza di un’incongruenza tra stipendio percepito e retribuzioni standard a livello europeo. Il comparto scolastico italiano continua a soffrire qualche patema di troppo rispetto alla media continentale.

Il problema riguarda in modo particolare gli insegnanti che, secondo un recente rapporto stilato dalla banca online N26, percepiscono stipendi tra i più bassi per quel che riguarda il Vecchi Continente. Collocati, addirittura, al trentunesimo posto nonostante il rinnovo del contratto scuola del 2019-2021 abbia portato un aumento tutto sommato importante.

Anche se, evidentemente, non sufficiente a pareggiare i conti con il comparto scolastico dei partner europei.

Nell’Education Price Index di N26, emergono anche divergenze nei costi dell’istruzione, sia scolastica che universitaria, con ripercussioni tanto sul settore quanto sulla scelta degli studenti. È chiaro che il rapporto tra stipendi e carovita sia altrettanto deficitario nel momento in cui, a fronte del tasso inflazionistico, si possa contare su compensi al di sotto di quanto sarebbe richiesto dal ruolo e dalle competenze.

Nondimeno, con la problematica della mobilità, con la quale fa i conti la maggior parte dei docenti. E in merito alla quale era emersa l’ipotesi di demandare alle Regioni una quota da rapportare al costo della vita. Proposta che, per la verità, aveva attecchito in alcuni territori, consentendo ad alcuni lavoratori fuori sede di beneficiare di una piccola aggiunta in busta paga, secondo il proprio Ccnl di riferimento. Non per la scuola tuttavia, che tuttora fa i conti con una discrepanza tra stipendi e inquadramento professionale. La quale, peraltro, emerge proprio in relazione al trattamento pensionistico che, per gli insegnanti di infanzia e primaria, arriva in modo anticipato e con un numero di ore più imponente di lezioni frontali. Ma, al tempo stesso, con uno stipendio lordo che sembra non risentire dell’aumento medio.

Pensione scuola: perché per Primaria e Infanzia arriva prima ma gli stipendi restano bassi

L’ultimo incremento dello stipendio medio lordo, per quel che riguarda il comparto scolastico, ha portato a uno step pari a 124 euro mensili. Il quale, tuttavia, ha spostato di poco l’asticella, lasciando la retribuzione media annua a non più di 26 mila euro. Tanto per fare un paragone, secondo quanto appurato dall’Education Price Index, in Spagna i docenti percepiscono compensi più alti, pari a circa 29 mila euro lordi l’anno. E, nonostante questo, non vanno oltre il 29esimo posto in classifica. Meglio i francesi, ventisettesimi con 30 mila euro, e soprattutto i tedeschi, all’undicesimo posto con uno stipendio lordo medio di 43 mila euro.

Per quel che riguarda l’Italia, tuttavia, emerge un altro problema: ossia la discrepanza di retribuzione tra insegnanti di scuola primaria e infanzia e docenti di grado superiore. E questo nonostante il sistema pensionistico attribuisca, di per sé, ai primi il rango di lavoro usurante. Una forbice che, a seconda dei casi, può allargarsi fino a oltre un centinaio di euro.

Peraltro, un difetto non corretto nemmeno dall’aumento degli stipendi portato dal ritocco del contratto collettivo, lasciando intatte le 25 ore settimanali all’Infanzia e le 24 alla Primaria. Orari più lunghi e, anche per questo, riconosciuti nell’ambito dei lavori usuranti, inquadramento che, ora come ora, esclude i docenti di scuola Secondaria. I quali, nondimeno, percepiscono compensi più elevati, con conseguente scatto pensionistico maggioritario rispetto ai colleghi dei gradi inferiori.

Una differenziazione che avrebbe potuto venir meno con l’unificazione della funzione di docente, rimasta però una mera ipotesi, nonostante la convergenza di idee tra i docenti dei diversi gradi di istruzione. Interessante notare, inoltre, come nell’ultimo anno le richieste di pensionamento siano aumentate, addirittura del 24%. E per motivazioni in primis legate al dispendio energetico richiesto dall’impiego.

Accontentandosi di una pensione commisurata allo stipendio percepito piuttosto che alla reale portata del mestiere svolto.

Riassumendo…

  • Nonostante le ore di lavoro in più, i docenti di scuola primaria e dell’Infanzia percepiscono stipendio (e quindi pensione) inferiore;
  • l’adeguamento dei contratti, con aumento medio di circa 124 euro mensili, non ha spostato gli equilibri;
  • resta l’inquadramento come lavoro usurante: nell’ultimo anno, le richieste di pensione sono aumentate del 24%.