Sbagliare nel momento di andare in pensione non è difficile. Talvolta è l’INPS a commettere errori, altre volte il Patronato, ma spesso sono i lavoratori stessi a cadere in equivoci che possono diventare definitivi. Situazioni come una pensione persa o un assegno pensionistico inferiore a quello spettante sono all’ordine del giorno nel sistema pensionistico italiano.

Invece di rispondere a una specifica domanda, oggi proponiamo una guida dettagliata sugli errori frequentemente commessi, che spesso si rivelano irrimediabili. Questo vademecum vuole essere un aiuto per i futuri pensionati e per chi ci interroga sulle migliori strategie pensionistiche, affinché evitino di incappare negli stessi sbagli.

Prima di abbandonare le speranze di pensione, meglio analizzare bene la propria situazione

Un errore comune è quello di perdere le speranze di andare in pensione anticipatamente. Ad esempio, chi, di fronte ai nuovi requisiti di una determinata misura valida per il 2024, decide di rinunciare alle proprie aspirazioni pensionistiche, maledicendo la propria sfortuna per essere stato escluso da una misura precedentemente attiva.

Un caso tipico riguarda una lavoratrice che, avendo completato 58 anni di età e 35 anni di contributi entro la fine del 2021, oggi può accedere a Opzione Donna indipendentemente da tutto. Questo significa che non è influenzata dal fatto che la nuova Opzione Donna richieda 61 anni come età minima per l’uscita, né dall’eventuale numero di figli avuti, che incide sull’età di pensionamento solo nelle versioni 2023 e 2024 della misura. Infatti, chi si trovava già a 58 anni con 35 di contributi nel 2021, non deve soddisfare nessun requisito aggiuntivo.

Perdere lo status di contributivo è un altro potenziale errore, come quello di lasciare inutilizzati i periodi retributivi

Riscattare periodi di contribuzione antecedenti al 1996 è un errore frequentemente commesso, poiché molti vedono lo status di contributivo puro come un limite, non riconoscendone i vantaggi. Per esempio, la pensione anticipata contributiva permette di ritirarsi con 64 anni di età e 20 anni di contributi, ma solo a condizione che l’importo pensionistico raggiunga almeno tre volte l’assegno sociale, con soglie ridotte per chi ha figli.

Chi versa un contributo prima del 31 dicembre 1995 perde il diritto a questa misura e deve attendere i 67 anni di età. Perciò, riscattare il servizio militare o periodi di studio universitario, trasformandosi in contribuenti misti, può risultare un errore.

Entrare nel misto conviene alcune volte, ecco come fare a non sbagliare

Al contrario, ci sono situazioni in cui il riscatto di periodi non lavorativi si rivela vantaggioso. Soprattutto quando permette di raggiungere il numero minimo di anni di contributi necessari per la pensione. L’anno di servizio militare, ad esempio, può essere riscattato gratuitamente.

Non effettuare tali riscatti può impedire di raggiungere i 20 anni di versamenti richiesti per la pensione, costringendo i contributivi puri ad attendere fino a 71 anni, mentre chi rientra nel sistema misto potrebbe non riuscire mai a pensionarsi, dovendo accontentarsi dell’Assegno Sociale.

Le pensioni minime, il loro calcolo, le maggiorazioni e tutte le altre somme aggiuntive

Anche la scelta di una misura penalizzante per il calcolo della pensione, rispetto a una più vantaggiosa, può essere considerata un errore. Esempi come la quota 103 nel 2024 dimostrano che chi ha maturato i requisiti per le quote precedenti, come la quota 100, può sfruttare la cristallizzazione del diritto per evitare le penalizzazioni introdotte nelle misure successive.

La quota 103, a partire dal 1° gennaio, introduce limiti significativi agli importi della pensione. Calcolati con il sistema contributivo e con un massimale pari a quattro volte il trattamento minimo INPS. Questi vincoli non si applicano alle quote 100, 102 o alla vecchia quota 103, rendendo queste opzioni decisamente più favorevoli.

Errori sulle pensioni minime, ecco a cosa stare attenti

Infine, non sfruttare le integrazioni al trattamento minimo e altre somme aggiuntive previste dalla normativa vigente è un grave errore.

Questi vantaggi, che non vengono applicati automaticamente dall’INPS, richiedono una domanda esplicita da parte dei pensionati. Omettere di presentare le proprie dichiarazioni reddituali all’INPS impedisce di ricevere queste somme aggiuntive. Quali la quattordicesima mensilità, gli assegni per il nucleo familiare, le maggiorazioni sociali e l’incremento al milione, causando il fenomeno dei diritti pensionistici inespressi.