Una delle misure che fanno capolino ogni qualvolta si parla di riforma delle pensioni è senza dubbio la quota 41 per tutti. Non meno importante però è la pensione flessibile a 62 anni. Cosa c’entra una pensione dai 62 anni di età con la quota 41 per tutti che non dovrebbe avere limiti anagrafici? Le due misure sono collegate in primo luogo perché oggi, grazie alla quota 103, si può lasciare il lavoro a 62 anni di età se si completano anche i 41 anni di contributi versati.

E poi perché tra le varie proposte di riforma delle pensioni, la flessibilità a 62 anni insieme alla quota 41 per tutti sono diventate autentici cavalli di battaglia dei sindacati.

Nuovi incontri in calendario, torna la flessibilità a 62 anni?

Presto tra Governo e sindacati si tornerà a sedersi al tavolo della trattativa per la riforma delle pensioni. Ma davvero ci sarà presto la possibilità di uscire dal lavoro a 62 anni senza necessariamente passare da misure che hanno nei 41 anni di contributi la soglia utile per la pensione? Una domanda questa che interessa molti lavoratori.

“Buonasera, sento parlare di pensione a 62 anni di età. Io li compio a febbraio prossimo. Oggi però vedo che l’unica via che si può intraprendere per andare in pensione a 62 anni di età sarebbe quella della quota 103. Ma servono 41 anni di contributi. Io non arrivo a 30 anni. Però se è vero che ci sarà una misura che parte dai 62 anni di età con carriere brevi, come funzionerebbe? Volevo sapere se mi devo iniziare a preparare per lasciare il lavoro. Grazie mille.”

Pensione flessibile dai 62 anni, liberi tutti ma con quale formula?

Effettivamente oggi per uscire all’età di 62 anni le misure che lo consentono sono tutte collegate a carriere lavorative lunghe. Perché sono tanti i contributi che servono per poter lasciare il lavoro ad una età di questo genere.

Il nostro lettore cita la quota 103, ma non c’è solo questa misura, che tra l’altro, scade il 31 dicembre prossimo ed anche se probabile un proroga, nel 2024 non ci sarà più. Con la quota 103 si lascia il lavoro una volta completato il doppio requisito anagrafico contributivo con combinazione 62+41. Ma nulla impedisce di lasciare il lavoro a 62 anni (o prima), con le pensioni anticipate ordinarie, che prevedono 41 anni e 10 mesi di contributi per le donne e 42 anni e 10 mesi per gli uomini.

Ripetiamo, sono misure che prevedono carriere di oltre 40 anni di contribuzione, e sono soglie che, come dimostra il nostro lettore, non tutti facilmente raggiungono. Anche chi ha iniziato a lavorare prima dei 19 anni di età ed ha un anno pieno di contributi versati prima del diciannovesimo compleanno. Perché anche la quota 41 per i precoci consentirebbe l’uscita anche a 62 anni (pure questa misura come le anticipate ordinarie è distaccata da limiti di età), ma solo per disabili, caregiver, disoccupati e lavori gravosi. La flessibilità a 62 anni invece è un’altra cosa. La pensione flessibile dai 62 anni sarebbe un liberi tutti già con 20 anni di contributi.

Uscire prima è penalizzante, anche senza nuovi limiti

Più volte abbiamo detto che non c’è sistema pensionistico contributivo che non abbia nella flessibilità un principio cardine. Perché se è vero che un trattamento pensionistico in questo sistema viene calcolato in base a ciò che un lavoratore ha versato, bisognerebbe lasciare liberi tutti di scegliere quando uscire. Per i sindacati da tempo i 62 anni sono il limite a partire dal quale permettere ai lavoratori di accedere alla loro pensione. E a partire anche dai 20 anni di contributi.

Le posizioni sulla flessibilità restano distanti soprattutto sulle penalizzazioni

I sindacati vorrebbero una misura scevra da penalizzazioni, perché nel meccanismo di una misura di questo genere, le penalizzazioni sarebbero già tante.

Per il governo invece, che deve badare anche alla spesa pubblica, inserire limiti, vincoli e paletti sarebbe la soluzione idonea a consentire il varo di questa ipotetica misura. Un lavoratore che decide di uscire a 62 anni e non aspettare i 67, perde fisiologicamente dei soldi. Perché non lavorando più non versa più contributi. E poi perché una pensione, a parità di contributi è più alta per chi esce a 67 anni rispetto a chi lo fa prima. Questione di coefficienti di trasformazione del montante contributivo in pensione.

Quali penalizzazioni sulle pensioni a 62 anni

Una misura che consente di lasciare il lavoro a 62 anni diventerebbe, senza penalizzazioni, troppo onerosa per le casse dello Stato. Però è anche vero che chi esce a 62 anni, per quanto detto prima, deve fare i conti con una pensione inferiore di quella che prenderebbe a 67 anni per esempio. In questo la flessibilità sarebbe garantita, perché il lavoratore dovrebbe scegliere in base alle sue esigenze anche reddituali, se accettare di prendere meno e uscire prima o aspettare lavorando, una pensione più alta. Ma una misura del genere finirebbe con il salvaguardare chi magari il lavoro lo ha perso e rischia di dover diventare un soggetto assistito da sussidi e aiuti di Stato, quando invece potrebbe prendere già la sua pensione, a prescindere dall’importo.

Sopra i 60 anni non si può lavorare? Per i sussidi è così, per le pensioni no

Sarebbe una soluzione anche al grande paradosso che oggi vige nel sistema lavoro-pensione in Italia. Per il reddito di cittadinanza o per l’assegno di inclusione che da gennaio prossimo entrerà in vigore al posto della precedente misura, a 60 anni non si viene considerati occupabili. Ma per le pensioni a 62 anni non si può ancora uscire se non con le lunghe carriere prima citate. Paradosso come dicevamo, che lo Stato sembra far finta di non tenere in considerazione. Che sia meglio dare la pensione a chi ha raggiunto i 20 anni di contributi e non il reddito di cittadinanza o un altro sussidio dovrebbe essere una cosa logica.

Calcolo contributivo, taglio lineare o cos’altro?

Ecco quindi che una via sarebbe anche quella di inserire l’obbligo di accettare un ricalcolo contributivo della pensione. Un vincolo per poter uscire domani con 62 anni di età. A dire il vero, una penalizzazioni che risulterebbe sempre meno grave visto che si parla di una misura con carriere nell’ordine dei 20 anni o poco più. Perché difficilmente con una ventina di anni di contribuzione, un lavoratore ha diritto a una pensione calcolata a maggioranza retributiva. Diverso il caso dell’inserimento del taglio lineare. Perché imponendo un taglio del 2,5% per esempio, e per ogni anno di anticipo rispetto ai 67 anni, il deterrente a uscire prima sarebbe maggiore. E meno persone sfruttano la misura, meno costa per lo Stato.